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Un saggio dotato di un grondante buon senso che può aiutare chiunque a ridere anche delle proprie ideologie “radical chic” che in realtà di radical hanno ben poco e di chic ancora meno, il mio approccio è stato il più onesto possibile e le cose che questo scrittore australiano, famoso per il saggio sulla nascita dell’Australia, “la riva fatale”, racconta della società americana nel 94, sono lo specchio di quando stiamo anche attualmente vivendo, una visione lucida e estrema, dove l’au non nega nulla e valuta gli estremisti sociali in cui si è arrivati. L’incipit è spiazzante e parte da un lavoro di W.H. Auden degli anni 40 intitolato “For the Time Being: a Christmas Oratorio” parole che si possono banalmente definire profetiche. Suddiviso in tre temi fondamentali: l’istruzione scolastica, il multiculturalismo e l’arte, ne descrive le dinamiche moderne e l’allontanamento dalle idee classiche, soprattutto questo “politicamente corretto” diventa una scusante estrema per non permettere più discussioni argomentate nel puro piacere della ricerca della conoscenza perché “coltivare il bambino che è in noi” va a discapito dell’adulto che non può trovare collocazione in una società dove si cambiano i nomi per sentirsi “sensibili e partecipi”... perciò il nano diventa il “diversamente alto” come se questa cosa possa in qualche modo modificare la sua statura.
Una lettura estremamente stupefacente soprattutto considerando il fatto che il testo è stato scritto 25 anni fa. Eppure, nonostante ciò, il libro di Hughes rimane una riflessione attualissima. Certo, il testo ha una prospettiva incentrata quasi esclusivamente sul mondo anglosassone, ma essa è dovuta al fatto che vent'anni fa la moda pseudomoralistica del politicamente corretto rimaneva più che altro circoscritta alla realtà socioculturale americana. Succede poi però che col tempo (nemmeno troppo in verità) certe mode perniciose tendono ad impantanare purtroppo anche il Vecchio Continente... Hughes si scaglia contro la cultura che sottende al p.c. : una cultura del vittimismo, della lamentocrazia, una cultura (dal sapore essenzialmente postmoderno) che tende a prendere le vittime - notare la vaghezza postmoderna della parola "vittima" - e le esalta come alfieri di una qualche identità, di un qualche valore, di una qualche battaglia culturale. A questo processo di vittimizzazione patologica però, si badi bene, non sono immuni né la sinistra (con la sua esasperazione nella difesa delle minoranze etniche o sessuali) né tanto meno la destra (con i suoi feti o i suoi inetti patrioti e bigotti). Le vittime, di destra e di sinistra, diventano esseri intoccabili, da proteggere, simboli empatici di aberrazioni culturali. Infatti, in una sorta di "piangi e ti verrà dato" in salsa mainstream si compie la piroetta culturale, che finisce per trasformare le vittime in carnefici (di libertà e razionalità soprattutto). Così, per non offendere queste presunte povere vittime, si costruiscono delle folli impalcature ideologiche (talvolta pseudostoriche, o peggio pseudoscientifiche) che rischiano di assoggettare e polarizzare irreversibilmente il dibattito culturale. Guai a te se provi a metterle in dubbio, esercitando un po' di razionale scetticismo metodologico, anche perché potresti vedere che le stesse vittime, "carneficizzandosi", finiscono poi per uccidere anche la tua libertà.
Opera interessante ma per addetti ai lavori. Testo molto tecnico, in effetti si tratta della messa in stampa di tre conferenze. Le cose migliori si trovano nella parte denominata "seconda conferenza". Se volevate capire come nasce il politicamente corretto, a cosa mira, chi ne sono i propugnatori e quali fini perseguono, e come reagiscono alle critiche, sappiate che non è il libro gusto per voi.
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