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"Il dio delle piccole cose" incanta e meraviglia. La realtà sociale e politica dell'India degli anni 60, con la sua rigida divisione in caste, è filtrata attraverso gli occhi di due gemelli. I bambini hanno un rapporto simbiotico: se uno fa ingordigia di dolciumi, l’altra ha il mal di pancia; si scambiano i sogni dormendo. Il loro modo di percepire la realtà è fiabesco e onirico. Le atrocità arrivano alle loro orecchie ovattate. I colori sono quelli accesi, violenti e speziati dell’India.
Il Dio delle Piccole Cose di Arundhati Roy è un libro memorabile, un classico imprescindibile della narrativa contemporanea internazionale . La Storia si svolge in India negli anni ’70. Estha e Rahel sono Due Gemelli Dizigoti che hanno seguito la madre (Ammu) dopo il divorzio dei genitori: Baba è un padre Violento nei confronti della moglie e Indifferente verso i figli. Ammu è tornata dunque dalla sua Famiglia, una famiglia di alta Tradizione, Cattolica, discendente di un ex Entomologo Imperiale e ora proprietaria di un Importante stabilimento di conserve: le Conserve E Composte Paradiso. Ma, secondo la Legge indiana, una donna Divorziata è pressoché esclusa dalla Società. È lo Sguardo dei due Bambini a raccontare questa Donna, i suoi Rapporti con la Famiglia, l’ambiente circostante, il sistema di Caste, la Ricerca del suo Posto nella Vita, la Fatica della propria Autodeterminazione, Emancipazione, Solitudine. Uno sguardo purificatore, come un sistema di filtraggio che passa al setaccio ogni più piccolo Granulo di Esistenza, ogni Minuto di Tempo, ogni Traccia di Realtà. E contrariamente a quello che siamo abituati a pensare, non c’è nulla di straniante nello sguardo dei bambini. C’è, semmai, qualcosa di destrutturante. Come Destrutturato è, per esempio, l’uso della lingua, il cui impiego è risemantizzato in funzione del senso che le parole e il loro ordine assumono nella visione applicata dai gemelli. Estha e Rahel usano una grammatica degli occhi piuttosto che della lingua, una grammatica che più che di forme e di costrutti si preoccupa di dare un nome alle cose, non un nome convenzionale ma un nome evocativo del flusso di pensieri che si scatena nella loro mente di fronte a eventi che registrano senza avere gli strumenti per catalogarli nella loro forma propria, se non appropriata.
Era da tempo che non mi affezionavo così ad un libro, ai suoi personaggi, alla trama. Il dio delle piccole cose è un'opera d'arte sotto molti punti di vista, ma risplende in particolare sotto il profilo dello stile: innovativo, divertente, commovente, sincero. La scrittura spigliata e attenta ai dettagli riprende in tutto e per tutto il modo che i bambini hanno di guardare le cose, gli occhi spalancati di chi si stupisce di fronte a un mondo che sembra sempre nuovo. Lo stile si accompagna ad una trama che è capace di commuovere - cosa, per me, davvero rara - e di trasportare in una dimensione tanto diversa da quella in cui viviamo normalmente. La protagonista è un'India autentica, povera, poetica, sempre in conflitto. I personaggi che la popolano sono portatori di tutte le sue sfaccettature, e prendono corpo in una descrizione psicologica che fa rabbrividire, tanto appare reale. Geniali, poi, le trovate narrative inerenti lo sfasamento temporale: i piani si intrecciano in continui rimandi al passato e al presente, fino a un futuro che - lo si sente dalle prime pagine - ha il sapore amaro della vita che ha preso una direzione sbagliata. Ma con le lacrime agli occhi si guarda a quello che è stato, e così ci si risolleva, nutrendosi di una sensazione di fuggevole felicità che solo i nostri ricordi da bambini sanno provocare.
Recensioni
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