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Sorprendente. Per nulla anacronistico, anzi: in un paese di nuovo in grave crisi lavorativa, quale è il nostro, questo racconto sociale torna alla triste modernità. L'osservazione di una fabbrica dalla politica sperimentale, che vuole essere un oggetto nuovo nel mondo dell'industria e finisce con il divenire una casa per gli operai assunti e quelli che questuano insistentemente per entrare nella famiglia. Riflessioni sull'aziendalismo, sull'ostinazione, sul lavoro come riscatto sociale ma anche come nuova forma di classismo.
Romanzi come questo sarebbero da mettere sotto protezione come patrimoni dell'umanità, invece stanno estinguendosi e tra vent'anni nessuno ne saprà più nulla. Saggio-romanzato, diario, indagine sociologica, ma chi se ne importa, e' grandissima letteratura, è solo questo che conta. Il racconto della selezione degli operai dell'Olivetti nel profondo sud campano e' pieno di sofferenza e partecipazione, rese con una scrittura ricchissima, davvero preziosa per l'esattezza e l'emotività che sa esprimere. Roba vecchia, da buttare perché scritta negli anni 50? Ma dai, trovatemi chi oggi sappia scrivere così...
Più che un romanzo è un saggio sulle condizioni umane e di lavoro (o meglio di disoccupazione) nel Sud. Io che sono nata e vissuta "all'ombra" della fabbrica citata da Ottieri, proprio in quegli anni, posso assicurare che le situazioni narrate sono, ahmè, ancora attuali. Certo chi si aspetta un romanzo si annoierà un pò, ma i temi sociali proposti sono oltremodo pregnanti. Per me il libro è un documento di una situazione e di un'epoca quando le fabbriche, ora sempre più in declino, rappresentavano ancora la speranza di una vita migliore, di un riscatto sociale..
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