Ho acquistato questo libro in base ad una recensione apparsa su "Venerdì di Repubblica"; avevo una vaga reminiscenza del nome dell'autore (Abreu) ma non avevo mai letto nulla. D'altra parte in Italia sono stati pubblicati solo due titoli di cui il primo ormai fuori catalogo. Si è trattata di una vera scoperta! Questo romanzo è stato scritto nel 1990 e, nella prima parte, rimanda alla migliore tradizione della letteratua latino americana. Pagine splendide, poetiche (ottima mi sembra la traduzione) con continui rimandi culturali, musicali, filmici (in alcuni, brevi, tratti ricorda Puig). La ricerca della cantante Dulce Veiga, somparsa da oltre 20 anni, al culmine del successo appare, di fatto, un pretesto per una ricerca più profonda. Appare la figura della filgia di Dulce, Màrcia Felàcio, cantante rock in perenne agitazione. Appaiono altre figure interesanti e collegate, direttamente o indirettamente, a Dulce. Ma tutto ruota intorno al personaggio dell'io narrante, giornalista ed uomo inquieto. Ed il romanzo evolve dal ritmo di un'indagine a quello di una esplorazione del tormento dell'essere. La seconda parte fa registrare un salto di stile,entrando quasi in una dimensione onirica in cui ci si dibatte (tutti i personaggi, nessuno escluso) in una tragica presa di coscienza del proprio degrado fisico (fino all'AIDS che, per altro, ha portato alla morte in giovane età Caio Fernado Abreu). Emergono temi legati alla religione e alla omosessualità (mirabile la ricostruzione plastica della Pietà Gay). Si procede con maggiore fatica (forse la sensazione della fatica di vivere che l'autore trasmette più o meno consciamente) fino alle ultime pagine in cui, finalmente, riappare Dulce Veiga, autorelegatasi in uno sperduto paesino - Estrela do Norte - (magistrale il titolo del capitolo "Vaga stella del nord", con l'ennesimo rimando letterario) in cui ha trovato pace e serenità, nel suo canto libero e solo. Un libro non facile, denso e complesso. Certamente una scoperta ed una lettrua intrigante.
