L'avvincente racconto di un'anima divisa fra due mondi, partecipe (a modo suo) di entrambi e da entrambi disconosciuta; la ricerca della propria strada, non solo in senso metaforico, diventa una lotta impari contro ciò che ha reso ciò che sei e che non puoi rinnegare... Il romanzo è davvero notevole e stupisce la raffinata capacità dell'autore nel rendere vivi i suoi personaggi, tratteggiati con rapidi schizzi come in un bozzetto e "colorati" poi con una lingua che mischia Italiano e dialetto, in registri diversi a seconda degli uomori e dei caratteri. E questa "mescolanza" è un po' la forma stessa de "L'estraneo" nel suo complesso: è come entrare in un vortice, una spirale che - sempre più velocemente - cattura il lettore e lo sprofonda verso un finale che - in modo paradigmatico - avviene in un grande cerchio. E purtroppo, l'unico modo per uscire dal cerchio, è andare in senso contrario.
L' estraneo
L'estraneo è un mezzosangue. È figlio della Roma di periferia ma non ci è nato, è cresciuto nella Roma bene senza mai sentirsi accolto. Quando finisce la sua storia con Alba, il giovane guarda in faccia la propria estraneità e decide di azzerare tutto, e ricominciare. Nella «Roma di Quaresima», estrema periferia. Affitta una stanza nell'appartamento occupato di Andrea, suo coetaneo, che si fa le maschere di bellezza e di sé non racconta nulla, a parte il sogno di avere una Ferrari. Palazzina G di un comprensorio affacciato sul Viale. Qui, in un territorio per il quale ha il passaporto ma del quale non conosce la lingua, l'estraneo prova disarmato e maldestro a «dare del tu alla vita». Tra maniaci del body-building e riti d'iniziazione in gloria al consumismo, tra pellegrinaggi per il Lupo Liboni e guardie devote allo Stato, incontra Marianna. E se ne innamora perché ha bisogno del suo sguardo, per vedersi. Per cercare ostinatamente un'identità. Un ragazzo di oggi, allevato dalla Roma bene ma partorito dalla borgata. Quando la città «delle Rovine» lo rigetta come un corpo estraneo, decide di immergersi nell'estrema periferia, di provare a impararne il ritmo. Ma se è proprio questa la Roma che suo padre gli ha inscritto nel Dna, e da cui voleva affrancarlo col suo impiego da portinaio in centro, non è detto che osservare la città da questa nuova angolazione ribalti la prospettiva. E salvi dal fallimento. Nella grande tradizione letteraria che indaga il rapporto mai risolto tra periferia e centro, Tommaso Giagni aggiunge la sua personalissima voce. Una lingua contaminata e piena d'invenzione, che raccontando le periferie degli anni Zero, disadorne e vivissime, rivela lo spaesamento di un uomo senza appartenenza.
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CLAUDIO GIAMMONA 14 luglio 2012
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