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Ho trovato il libro piuttosto banale, anche se mi è piaciuta la narrazione. Una storia di amore, un background di guerra, e un'improvvisa soluzione che arriva "dal nulla". È okay, niente di impegnativo, lettura semplice; avevo aspettative molto più alte (probabilmente grazie alle alte recensioni dei lettori). Il problema è che, secondo me, non riesce nel suo vero intento (valore del multiculturalismo).
Purtroppo mi devo discostare dalla maggior parte delle recensioni positive su questo libro. Leggendo la trama avevo grandi aspettative che sono state deluse. Ho trovato che il tema sia stato trattato con una certa superficialità. Bella la "metafora" delle porte alla base dell'intera storia ma per il resto non ho apprezzato altro. I personaggi non sono ben caratterizzati, avrei preferito che emergessero con maggiore forza. Ho trovato alcuni passaggi anche un pò noiosi. Purtroppo non lo consiglierei e non lo rileggerei.
Questo libro racconta la storia di Nadia e Saeed, due giovani in fuga da un paese lacerato dalla guerra ed in cerca di un futuro migliore e sicuro in un altro paese. Exit West offre spunti di riflessione con frasi e ragionamenti molto profondi e che toccano una realtà molto attuale al giorno d'oggi. Inoltre offre la possibilità di vedere le cose sotto un altro punto di vista.
Recensioni
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Girava voce che ci fossero porte capaci di trasportarti in altri luoghi, anche molto remoti, lontano dalla trappola mortale in cui si era trasformato il paese. Alcuni sostenevano di conoscere qualcuno che conosceva qualcuno che era passato attraverso una di quelle porte. Una porta normale, dicevano, poteva trasformarsi in una porta speciale, e poteva accadere senza preavviso, a qualunque porta.
In una città senza nome, che noi europei classificheremo subito come mediorientale, un ragazzo e una ragazza si innamorano. Succede all’improvviso, una sera come tante, in un’aula dell’università. Lui è Saeed, viene da una buona famiglia, è figlio di un professore universitario, prega, lavora ed è rispettoso delle tradizioni. Lei è Nadia ed è meno conformista: non prega, vive da sola, apprezza i funghetti psichedelici e scorrazza per la città in sella a una moto, in testa non un jihab ma un casco nero. Il loro amore cresce in segreto, lontano dagli occhi indiscreti e dalle dicerie. Lontano anche dalla famiglia di Saeed.
Ma quella città senza nome non è disposta ad accogliere la loro storia. I rifugiati sono sempre più numerosi, i miliziani iniziano a creare disordini, le stelle, in cielo, lasciano il posto a droni ed elicotteri. È un tempo di coprifuochi, di sguardi spaventati fuori dalle finestre, di genitori in attesa di figli che non torneranno più. Ma è anche un tempo di speranza, di voci che sussurrano l’esistenza di porte capaci di trasportarti lontano, in luoghi più sicuri.
Sarà proprio grazie a una di quelle porte che Saeed e Nadia riusciranno a lasciare la loro città, in cerca di salvezza. Ma l’attraversamento di quella soglia nera è solo l’inizio di un lungo viaggio, che li porterà prima a Mykonos poi a Londra poi a San Francisco, in una lunga odissea metafora delle rotte percorse dai migranti. Ma Hamid si spinge oltre, disegnando un mondo possibile, dove il presente in cui è immersa la nostra società si accentua per dare vita a un futuro vicino e che – forse – non vorremmo mai vedere, fatto di violenza.
Dopo Il fondamentalista riluttante e La civiltà del disagio, Hamid scrive un romanzo che unisce in giusta misura l’oggettività del reportage e la fantasia tipica del realismo magico, con una prosa in gran parte descrittiva ma punteggiata da battute e dialoghi incisivi. Un romanzo che porta il lettore a interrogarsi sul valore e il significato di termini come multiculturalismo, cosmopolitismo e società ibrida, più che mai attuali e necessari nella loro valenza politica, storica e psicologica.
Recensione di Mauro Ciusani
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