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Anno edizione: 2018
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Verso la fine del IV secolo l’impero romano è ancora molto grande, si estende su un territorio enorme, ma, se può sembrare forte e potente, cela una fragilità pronta ad apparire al momento più propizio, insomma è quello che si potrebbe definire un colosso dai piedi di argilla. Sono ormai diversi secoli che i barbari premono alle frontiere, un po’ desiderosi di mettere le mani sulle ricchezze del grande stato, un po’ per fuggire altri popoli predatori che, nella loro espansione, seminano solo morte e distruzione. Un tempo l’esercito romano era forte e pressochè invincibile, ma ora, ridotto nei ranghi, composto in larga parte da quegli stessi barbari, non è monolitico come potrebbe apparire, ha perso molto della sua razionale ed efficiente organizzazione dopo le riforme mitari avviate da Diocleziano e perfezionate da Costantino. Piano piano l’impero viene eroso, ma è con la grande battaglia di Adrianopoli del 9 agosto 378 in cui i Romani, sconfitti dai Visigoti, con l’uccisione anche dell’imperatore d’oriente Valente che le sorti di quello che è stata la più grande e duratura potenza nella storia dell’umanità cominciano a evolvere in senso negativo. Si potrebbe dire che questa battaglia segna l’inizio della fine, anche se seguirono altre battaglie con esiti più favorevoli per i romani, soprattutto grazie a un loro grande generale, di cui poco sappiamo e che è stato oggetto di uno studio da parte dello storico Giorgio Ravegnani. Ezio, anzi per la precisione Flavio Ezio, vissuto dal 390 circa al 454, è il suo nome, un uomo che aveva lo stampo dell’antico romano, impregnato di un alto senso dello stato e dalle indubbie capacità di stratega, dapprima alleato con gli Unni e poi loro acerrimo nemico al punto che li sconfisse, sbaragliandoli, nella famosa battaglia dei Campi Catalaunici, nella regione dello Champagne, avvenuta il 20 settembre 451, ma secondo altri studiosi esattamente tre mesi prima. Trascorsero tre anni ed Ezio moriva, assassinato dall’imperatore Valentiniano III, timoroso per l’ascendente del suo generale. Quella dei Campi Catalaunici fu probabilmente l’ultima grande battaglia vinta dai romani, un vero e proprio canto del cigno. L’aver tolto di mezzo l’unico uomo che per le sue capacità avrebbe potuto difendere l’impero fu un errore madornale, come se Valentiniano si fosse tagliato la mano destra con quella sinistra, e, secondo la tesi dell’autore, consentì di fatto i successivi colpi deleteri sferrati dai nemici di Roma, nemici che avrebbero potuto essere facilmente ostacolati se Ezio fosse rimasto in vita. Di certo la sorte dell’impero era segnata, perché la genesi di uno stato contempla che quando questo si è avviato lungo la parabola discendente questa caduta non può essere fermata, ma al massimo solo rallentata. E appunto Ezio avrebbe spostato in là, di quanti anni non è possibile sapere, la fine di Roma. Ezio è un interessante saggio storico su un personaggio meno conosciuto di altri grandi condottieri romani, ma non non meno valido e pertanto degno della massima considerazione.
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