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Una famiglia americana - Joyce Carol Oates - copertina
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Una famiglia americana - Joyce Carol Oates - copertina
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Descrizione


Tutti ammirano i Mulvaney, tutti li invidiano. Sono un clan chiassoso e allegro, una famiglia perfetta; la loro fattoria nel nord dello stato di New York è una casa da fiaba abitata da uno stuolo di cani, gatti, cavalli, mucche e pecore, sempre piena di amici e parenti. Michael, il padre, ha un'impresa edile ben avviata, è conosciuto, rispettato, membro orgoglioso del country club. Sua moglie Corinne è una donna "nervosamente allegra", visceralmente anticonformista, con una solida fede religiosa, la mente sempre in fermento, la passione per l'antiquariato e la politica. I figli conoscono soltanto valori saldi e fiducia nella vita: Mike junior è un campione di football, Patrick un genio in erba delle scienze naturali, il piccolo Judd l'adorante mascotte dei fratelli maggiori. Poi c'è Marianne, bella, dolcissima, sempre attenta agli altri, che si affaccia con un po' di ingenuità ai suoi sedici anni. Ma nel giorno di san Valentino del 1976, dopo il ballo della scuola, le accade qualcosa di terribile. Un "incidente" innominato e innominabile che avvelena la serenità della famiglia, spezza quei codici di comunicazione che permettevano ai Mulvaney di capirsi senza fatica, di riconoscersi come parte di un tutto. È un incantesimo malvagio, la famiglia perfetta non esiste più. L'affetto che li lega non riesce più a scorrere; l'evento drammatico li trasforma, li allontana; ciascuno combatte la sua lotta in nome della giustizia, della vendetta, o del perdono.
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Dettagli

2014
13 novembre 2014
502 p., Brossura
9788842820192

Valutazioni e recensioni

Recensioni: 5/5

Come ogni saga familiare, un ritratto ideale, idilliaco e fiabesco. L’unione, l’amore, la simbiosi domestica che cova i germi degli errori futuri. Poi la cesura. Il punto di rottura, la svolta. La confusione e lo stordimento che precedono la rapida caduta, il capovolgimento, il vuoto, lo smascheramento agghiacciante. Una scrittura avvincente e avvolgente, nonostante la prevedibilità dei contenuti. I profili psicologici dei protagonisti sono forse l’aspetto più “gustoso” dell’opera. Unico neo, secondo me, il finale inutilmente prolisso. Superfluo. Libro consigliato.

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Recensioni: 4/5

Tra i bersagli privilegiati della Oates c'è, e fin dagli inizi della sua lunga carriera, la volontà di smascherare la struttura dispotica della famiglia nucleare borghese per spostare in primo piano i meccanismi violenti sui quali si basa, le asimmetrie di cui si nutre per restare in piedi. Alla base di «We Were the Mulvaneys» (1996) c'è una lunga riflessione sulla possibilità che, nonostante questi orrori, la soggettività dei singoli possa ugualmente formarsi, e quindi sia possibile indagare su di essa in forma di romanzo per comprenderla. Il percorso è però ostacolato dai giochi identitari che ci permettono di continuare a vivere tra mille compromessi e più rare oasi di pace momentanea. Quindi non è un'operazione semplice, ma d'altra parte «non c'è nulla tra gli esseri umani che non sia complicato, ed è impossibile parlare di esseri umani senza semplificare e procedere per approssimazioni» (p. 422).

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Recensioni: 3/5

Ah se l'avesse scritta Balzac questa storia, quanta ironia e quanta commozione avremmo trovato tra le righe e nelle pieghe di ciascun personaggio. E invece l'ha scritta la Oates, una scrittrice a me sconosciuta fino ad oggi che mi trattengo a stento dal definire glaciale, asettica, distante. Quanta poca empatia per questi esseri umani, forse con la sola eccezione di Marianne e dei numerosi animali che popolano tutto il romanzo. La Oates parte con una perfetta e piuttosto antipatica famiglia per bene, prosegue con una valanga di disgrazie, finisce con una sorta di happy end (il 4 luglio!!) che chiude tutte le esistenze in un pacchetto colorato di cui ancora non mi capacito. Di 1/3 della narrazione forse potevamo fare a meno, le prolissità della scrittrice non aiutano perchè contrariamente a Balzac che nella prolissità sguazza e ci coinvolge, qui ci perdiamo e spesso anche annoiamo, prendendo le distanze poco alla volta. Il titolo italiano poi non aiuta neanche a capire di cosa stiamo leggendo. Più opportuno "Eravamo i Mulvaney", una delle tante famiglie americane appunto. Ah fosse stato P. Roth a raccontare la stessa storia...

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