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Félicie - Georges Simenon - copertina
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Félicie - Georges Simenon - copertina
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Descrizione


Se ne sarebbe ricordato in seguito di quell'attimo, e non sempre con piacere. Per anni, in certe ridenti mattine di primavera, i colleghi dei Quai des Orfèvres avrebbero conservato l'abitudine di rivolgersi a lui con un misto di serietà e di ironia: "Senti Maigret" "Che c'è?" "C'è Félicie!". E allora lui la rivedeva, sottile, con i suoi vestiti chiassosi, i grandi occhi color nontiscordardimé, il naso impertinente, e il cappello poi, quel terrificante cappellino rosso piazzato in cima alla testa con una lunga penna verde cangiante infilzata come una freccia. "C'è Félicie!". Il commissario sbuffava. Lo sapevano tutti che Maigret si metteva a sbuffare come un orso quando qualcuno gli ricordava Félicie.
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Dettagli

5
2001
Tascabile
4 luglio 2001
140 p.
9788845916311
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Indice


Le prime frasi

1

IL FUNERALE DI GAMBADILEGNO

Fu un attimo assolutamente straordinario, e con ogni probabilità tutto durò davvero solo un attimo, come pare accada in quei sogni che ci sembrano invece lunghissimi. A distanza di anni Maigret avrebbe potuto ancora indicare il luogo preciso in cui era successo, il punto del marciapiede dove stavano i suoi piedi, la pietra su cui si profilava la sua ombra. Avrebbe potuto non solo ricostruire la scena in ogni minimo dettaglio, ma persino ritrovare l’odore diffuso, le vibrazioni di quell’aria che aveva il profumo dei ricordi d’infanzia.
Era la prima volta, quell’anno, che usciva senza cappotto, la prima volta che si trovava in campagna alle dieci del mattino. Anche la grossa pipa sapeva di primavera. Faceva ancora fresco. Maigret camminava a passi pesanti, le mani nelle tasche dei pantaloni. Félicie gli camminava accanto, leggermente più avanti, costretta a fare due passi rapidi per ognuno dei suoi.
Erano arrivati davanti a un nuovo negozio con i muri di mattoni rosa. In vetrina c’erano cesti di verdure, due o tre formaggi, dei sanguinacci su un piatto di ceramica.
Félicie corse avanti, tese il braccio, spinse la porta a vetri. Fu allora che scattò la suoneria e fu allora che il fenomeno si verificò.
Non era una suoneria qualunque. Dietro la porta erano appesi dei tubi di metallo leggero, che urtandosi producevano, come un carillon, una musica celestiale.
Una volta, quando Maigret era ragazzo, nella salumeria del suo paese, che era stata appena rimessa a nuovo, c’era un carillon come quello.
Il tempo parve fermarsi, l’attimo presente rimase sospeso. E Maigret si sentì davvero fuori dalla scena che si stava svolgendo, la osservò come se non fosse più il massiccio commissario che arrancava dietro a Félicie.
Era di nuovo il bambino di allora che, nascosto da qualche parte, se ne stava a guardare senza essere visto, con una gran voglia di scoppiare a ridere.
Suvvia! Siamo seri! Che ci faceva quel signore dall’aria severa, imponente, in uno scenario da paese dei balocchi, dietro quella Félicie che con il suo ridicolo cappello rosso sembrava uscita dalle pagine di un libro illustrato?
Conduceva un’indagine? Si stava occupando di un omicidio? Cercava il colpevole? E tutto questo mentre gli uccellini cantavano, mentre l’erba era di un verde innocente e i mattoni rosa confetto, e dappertutto c’erano fiori appena sbocciati e persino i porri nella vetrina sembravano mazzi di fiori?
Se ne sarebbe ricordato in seguito, di quell’attimo, e non sempre con piacere. Per anni, in certe ridenti mattine di primavera, i colleghi del Quai des Orfèvres avrebbero conservato l’abitudine di rivolgersi a lui con un misto di serietà e di ironia:
“Senti, Maigret…”.
“Che c’è?…”.
“C’è Félicie!”.
E allora lui la rivedeva, sottile, con i suoi vestiti chiassosi, i grandi occhi color nontiscordardimé, il naso impertinente, e il cappello poi, quel terrificante cappellino rosso piazzato in cima alla testa con una lunga penna verde cangiante infilzata come una freccia.
“C’è Félicie!”.
Il commissario sbuffava. Lo sapevano tutti che Maigret si metteva a sbuffare come un orso quando qualcuno gli ricordava Félicie, quella ragazza gli aveva dato più filo da torcere di tutti i “duri” che aveva spedito in galera.
Quel mattino di maggio Félicie era lì davvero, davanti alla porta del negozio. Sopra le pubblicità di un amido e di un lucidante per metalli, c’era una scritta in caratteri gialli: “Mélanie Chochoi, Emporio”. Félicie se ne stava lì, in attesa che il commissario riemergesse dal suo sogno.
Finalmente Maigret si mosse, rientrò nella vita reale e riprese le fila dell’indagine sull’omicidio di Jules Lapie, detto Gambadilegno.
Il viso affilato, ironica sino all’aggressività, Félicie aspettava le sue domande con lo stesso atteggiamento del mattino. Dietro il banco, una donna piccola di statura e dall’aria pettegola, Mélanie Chochoi, contemplava con le mani incrociate sul grosso ventre la strana coppia formata dal commissario di polizia e dalla domestica di Gambadilegno.
Maigret, fumando a lente boccate, guardava gli scaffali scuri pieni di barattoli di conserve e, attraverso la vetrina, la strada ancora in costruzione, dove gli alberi appena piantati erano poco più che fragili cuccioli d’albero. Alla fine, estraendo l’orologio dalla tasca del gilet, sospirò:
“Mi ha detto che è arrivata qui alle dieci e un quarto, giusto? Come mai si ricorda così bene l’ora?”

Valutazioni e recensioni

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serafini lino pasqualino
Recensioni: 4/5

il solito grande Simenon.

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Renzo Montagnoli
Recensioni: 4/5

Maigret potrà sembrare di primo acchito un burbero, ma se poi lo si osserva con attenzione rivela, in alcune circostanze, una tenerezza che lui cerca di dissimulare accentuando i tratti, a volte spigolosi, del suo carattere. É questo il caso dell’indagine che conduce in ordine all’omicidio di un ex contabile, un uomo solitario che viveva in una casa facente parte di un progetto di vasta lottizzazione; sì, era solitario, nel senso che non aveva amici, ma ospitava una domestica, una giovane ragazza che lo accudiva e che beneficerà della sua eredità. Ma chi può avere assassinato, e per quale motivo, un individuo di cui quasi si ignorava l’esistenza? Che cosa ha da nascondere Felicie, la domestica, che tiene testa alle domande del commissario con una sfrontatezza e un’abilità perfino superiore a tutti i duri che lui aveva sbattuto in galera? Più che nei risvolti dell’indagine e nella ricerca del colpevole il romanzo sta tutto in questo dualismo, in questa tenzone che agli occhi di Maigret pare un gioco. Lui è consapevole dell’innocenza della ragazza e avverte chiaramente che il suo comportamento è votato alla difesa di qualcuno che lei crede innocente. Tutto qui? Assolutamente no, perché questo romanzo fa perno più sugli innocenti che sui colpevoli, sul carattere di questa giovane che, non contenta del mondo che la circonda, si è chiusa in un bozzolo in cui ama fantasticare, al punto che è cruciale il suo innamoramento per il figlio del padrone, convinta che lui contraccambi e invece non sa quasi nemmeno che lei esista. É un Maigret che forse può sembrare irretito da questo personaggio femminile, ma non è in cerca di avventure, perché anche lui ha in fondo bisogno di sognare, di far uscire dal suo intimo quell’affetto paterno per un figlio o una figlia che non ha mai avuto. Se lo sviluppo dell’indagine e l’arresto del colpevole sono di ordinaria amministrazione, questo duetto fra due sognatori è veramente formidabile.

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claudio
Recensioni: 5/5

Altra grande figura femminile di Simenon. Felicie è la servetta di un tizio chiamato Gambadilegno perché privo di una gamba. Vivono vicino a Parigi, in una nuova zona, dove non succede mai nulla. Se non proprio l'omicidio di Gambadilegno. E Maigret deve sudare le proverbiali sette camicie per venire a capo della situazione, con una Felicie che gli rende la vita sempre più difficile. Fino al "felice" epilogo.

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Recensioni

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La recensione di IBS


«Maigret è contento. Non dimenticherà quel pranzo alla buona, l’atmosfera tranquilla e familiare da trattoria senza pretese. Un raggio obliquo di sole scivola sulla tovaglia e colpisce la caraffa di vino rosso. Fra lui e Félicie si è stabilito un rapporto sereno, quasi cordiale.»

L’eterna giovinezza del commissario Maigret rende la pubblicazione di ogni nuovo volume della sue inchieste una piacevole sorpresa. Le ultime giornate dell’estate, quando il pensiero delle vacanze appena concluse rende più inclini alla nostalgia, possono essere felicemente accompagnate dalla lettura dell’ultima, in ordine di pubblicazione, inchiesta/racconto di Simenon che prende nome da uno dei personaggi principali della vicenda, Félicie. La peculiare capacità dello scrittore belga di costruire intorno ad un’esile storia un quadro sociale preciso, di caratterizzare i suoi personaggi con tratti psicologici che scavano nel profondo delle fragilità umane, di presentare l’investigatore, Maigret appunto, come un uomo ricco di umanità e di calore che ha, e non nasconde, sentimenti di pietà e di affetto per le persone con cui si relaziona, tutto ciò insomma rende la lettura di queste storie sempre arricchente.

Se Maigret, a detta del suo superiore, “entra in un’inchiesta come infilerebbe i piedi nelle pantofole…”, Simenon fa entrare il lettore nella vicenda con la stessa naturalezza di chi assiste personalmente a un evento.

Un paese nella campagna francese viene turbato da un assassinio inspiegabile: un uomo, che non sembra aver avuto nemici, viene ucciso nella sua casa, senza motivi evidenti, e senza che sia sottratto nulla. Jules Lapie, il morto, era conosciuto in tutto il paese con l’ironico soprannome di Gambadilegno a causa di una gamba persa durante un viaggio per mare in cui si era trovato del tutto casualmente. Uomo estremamente tranquillo e solitario Gambadilegno era accudito da una giovane governante, Félicie, una ragazza apparentemente scorbutica e arrogante che riesce a suscitare sentimenti spesso contrastanti nel commissario durante i lunghi e minuziosi interrogatori: irritazione e fastidio, ma anche tenerezza per l’ingenua altezzosità della ragazza che ostenta atteggiamenti da gran dama, ma che, solo grazie al vecchio che la teneva in casa, era sfuggita a una situazione di miseria e di fame. La primavera appena sbocciata, l’atmosfera tranquilla del paese, le case dall’intonaco chiaro, il buon vino tenuto in cantina, il clima semplice che lo circonda fanno desiderare a Maigret, un momento di riposo e di vacanza in cui Félicie sia una presenza quasi filiale e lui si possa godere in santa pace un buon pranzo o un bicchiere di fresco vinello. Ma il dovere e il senso di responsabilità lo scuotono da queste spinte all’evasione e lo riportano a un’indagine che sembra essere piuttosto complessa. E così tra Parigi e il ridente paesello la storia si sviluppa, i pezzi del puzzle si ricompongono e la soluzione arriva. Félicie si ritroverà da sola, svelate tutte le sue infantili fantasie, con tanta voglia di non perdere il nuovo rapporto instaurato col commissario né lo scambio di impertinenze diventato per entrambi quasi un gioco. Sapendo ben calibrare sentimenti e trama, Simenon traccia un bozzetto davvero delizioso di vita paesana, mostrando ancora una volta grande duttilità e ricchezza narrativa, conoscenza profonda degli esseri umani e delle loro debolezze.

A cura di Wuz.it

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Conosci l'autore

Georges Simenon

1903, Liegi (Belgio)

Romanziere francese di origine belga. La sua vastissima produzione (circa 500 romanzi) occupa un posto di primo piano nella narrativa europea. Grande importanza ha poi all'interno del genere poliziesco, grazie soprattutto al celebre personaggio del commissario Maigret. La tiratura complessiva delle sue opere, tradotte in oltre cinquanta lingue e pubblicate in più di quaranta paesi, supera i settecento milioni di copie. Secondo l'Index Translationum, un database curato dall'UNESCO, Georges Simenon è il quindicesimo autore più tradotto di sempre. Grande lettore fin da ragazzo in particolare di Dumas, Dickens, Balzac, Stendhal, Conrad e Stevenson, e dei classici. Nel 1919 entra come cronista alla «Gazette de Liège», dove rimane per oltre...

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