L'adozione di due bambine coreane diventa l'occasione per la nascita di un'amicizia tra due famiglie, una americana e l'altra iraniana, che sembrano non avere niente in comune a parte questa scelta. L'autrice mette a confronto le due famiglie, ci mostra le loro diversità, non solo culturali, restituendoci dei personaggi autentici e mai banali. Consigliato a tutti quelli che hanno bisogno di una lettura leggera che però sappia emozionare.
La figlia perfetta
Due famiglie all'aeroporto di Baltimora, in una notte di agosto; due bambine appena adottate in arrivo dalla Corea. Una delle due famiglie è perfettamente americana, socialmente impegnata e politicamente corretta; l'altra è un nucleo familiare iraniano, che ha superato non da molto tempo le difficoltà dell'inserimento nel tessuto sociale degli Stati Uniti. Mentre la prima farà di tutto perché la bimba adottata mantenga i contatti con la sua cultura di origine, la seconda cercherà in ogni modo di assimilarla immediatamente alla realtà di Baltimora. Le storie delle due famiglie, che mantengono i contatti dopo il primo incontro, si incrociano per molti anni, e ogni anno diventa l'occasione per un nuovo confronto, per misurare avvicinamenti e distanze, per osservare i bimbi che crescono e il mondo che cambia.
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Anno edizione:2017
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All’aeroporto di Baltimora, un Ferragosto, si trovano due famiglie per lo stesso motivo, cioè l’arrivo dalla Corea di due bambine molto piccole destinate ad essere adottate. Gli Yazdan sono di origine iraniana, qualcuno nato in Iran e trapiantato in USA a seguito di eventi anche traumatici, (come Maryam, la vera protagonista del libro), altri nati in USA; i Donaldson sono in tutto e per tutto all-american, un po’ new age e molto politically correct. Le due famiglie fanno amicizia e i contatti proseguono negli anni a venire; i Donaldson organizzano spesso sontuose feste per le occasioni più incredibili, gli Yazdan, soprattutto Ziba, hanno una sorta di reverenza nei loro confronti e li assecondano, li considerano un po’ come loro modelli di “americanità”. La bambina Yazdan diventa subito Susan e viene allevata facendo del proprio meglio da una famiglia che ha conservato alcuni tratti iraniani, ma che in realtà in USA si trova bene economicamente e socialmente; la bambina Jin-Ho resta Jin-Ho e viene cresciuta come coreana, o meglio, secondo l’idea di Corea da cartolina che hanno in testa i Donalson. Risultato: due bambine entrambe perfettamente americane. Il tema principale del libro, a mio parere, sono le difficoltà dell’integrazione degli immigrati, soprattutto di fronte alle persone di ottima volontà e di sentimenti delicati che, con l’esercizio della loro cautele e della correttezza politica a tutti i costi, rischiano di ricacciarli indietro continuamente in un ghetto da cui queste persone, come qui gli Yazdan, sono usciti volentieri e da tempo, o magari non ci sono mai entrati perché nati negli USA. Il libro risulta spesso divertente, molte volte ironico, mai noioso (neanche nelle interminabili riunioni di famiglia), e pieno di momenti veramente toccanti e sinceri: la scena all’aeroporto, che si richiama strettamente a una vera nascita in ospedale; tutti i monologhi interiori di Maryam, forse il personaggio più bello e compiutamente sviluppato; tutti e due i brani sulle difficoltà di avere figli.
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I. Rodigari 07 marzo 2017
Mi sono imbattuta in questo libro per caso. È la storia di due famiglie che si conoscono dopo aver condiviso la stessa esperienza, l’adozione di due bimbe coreane. La scrittrice descrive l’evolversi dei rapporti tra queste famiglie diverse tra loro (una delle due famiglie è Iraniana, l’altra Americana) che pero’ condividono un’esperienza comune che ricordano ogni anno durante l’anniversario dell’arrivo delle bambine. Il suo modo di scrivere è molto limpido e scorrevole, ho adorato la semplicità con cui descrive la quotidianità, senza pero’ mai renderla noiosa. È un libro molto bello, che mi sento di vivamente consigliare.