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Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2009
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Ho trovato questo libro irritante, sia per la descrizione della protagonista - una donna di 57 anni che decide di fare un viaggio in Tanzania alla ricerca della memoria della sorella morta poco prima e che viene descritta come una deficiente presuntuosa e disorientata-, sia per l'alternanza tra due storie inessenziali che hanno come perno gli ascensori di una grattacielo di Tel Aviv e una savana africana vista da occhi inconsapevoli. Sembra tutto casuale e raffazzonato in questo romanzo, comprese le scelte stilistiche. C'è da sperare che una parte della responsabilità sia da imputare alla disastrosa traduzione che rende i dialoghi tra i personaggi banali e stereotipati e alcuni passaggi irrimediabilmente sciatti. Due stelle solo come omaggio alla carriera di uno scrittore che ha pubblicato discreti testi, come "La sposa liberata"
Alternando i punti di vista di Daniela e di Amotz, Yehoshua racconta una settimana della vita dei coniugi Yaari quando la moglie approfitta delle vacanze per raggiungere in Africa il cognato. I due coniugi sono affiatatissimi e da quando si conoscono non hanno mai fatto le vacanze separate ma Daniela vuole raggiungere il cognato per poter parlare della sorella morta a cui era legatissima e di cui vuole rinnovare il ricordo e il dolore della morte. L’incontro con il cognato però la disorienta: lui rifiuta tutto quanto possa ricordargli Israele (dai giornali alle candele che butterà subito nel fuoco) e rifiuta anche di andare all’aeroporto a prendere la cognata per evitare di incontrare degli israeliani. E non è il dolore della morte della moglie che l’ha distrutto e l’ha spinto al rifiuto di tutto quanto proviene dalla sua patria, ma il ricordo continuo e doloroso della morte del figlio ucciso dal “fuoco amico” di un commilitone. Queste parole lo hanno distrutto: cosa vuol dire “fuoco amico”? Non sono certo una consolazione, anzi queste parole gettano ulteriore sale sulla ferita. Invece di parlare della moglie, lui con fatica racconta a Daniela come è stata devastata la loro vita dalla morte del figlio e come lui abbia iniziato, di nascosto dalla moglie, a cercare la verità per capire cosa fosse successivamente successo. E riuscirà a scoprire la verità ma questa è “surreale” e rende la morte del figlio un atto assolutamente assurdo e inutile. Nella sua ricerca della verità, analizzerà il conflitto arabo-israeliano arrivando a condannare duramente il comportamento dei suoi concittadini fino a rifiutare di avere alcun contatto con la sua patria. In contemporanea, si racconta la vita quotidiana di Amotz diviso tra la sua famiglia e il lavoro. All’inizio il libro mi è sembrato un po’ noioso e i coniugi Yaari assolutamente assurdi e antipatici nel loro amore così assoluto e totalizzante al punto da rendere difficile la separazione per una settimana. Poi però l’autore approfondisce i personaggi e, in particolare, sono tratteggiati molto meglio i personaggi minori (in particolare il vecchio Yaari, l’esperta di suoni e l’infermiera sudanese) e le storie secondarie. Non mi ha entusiasmato come altri libri di Yehoshua, ma dalla metà in poi il romanzo diventa coinvolgente e appassionante. In particolare, Yehoshua è sempre bravissimo a descrivere le vicende attraverso differenti punti di vista.
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