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Anno edizione: 2014
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Di Nabokov avevo già letto "Lolita" con somma soddisfazione, apprezzando una delle scritture più lucide e straordinarie che mi fosse mai capitato di incontrare, ma non avevo preso in mano nient'altro di suo, finché i caldi suggerimenti di alcuni amici lettori dei cui gusti mi fido molto intorno a "Fuoco Pallido" non sono andati a segno e ho finalmente letto quest'altra sua opera. Così, se al primo romanzo avevo apprezzato il grandissimo scrittore, con "Fuoco Pallido" ho scoperto l'autentico genio. Sì, perché solo una mente geniale può concepire un libro del genere, un libro difficilmente catalogabile: un romanzo, che però non è un romanzo, un poema che non è un poema, un saggio critico che però non è un saggio critico, eppure un romanzo a tutti gli effetti. Cercare di dare un'idea di "Fuoco Pallido" non è semplice, ma ci provo. Il libro si divide in quattro parti: una "Prefazione" per quello che verrà dopo, un "Poema" di 999 versi divisi in Quattro Canti, un "Commento" che è la parte più consistente del libro e che si propone di analizzare puntualmente, dunque come un vero e proprio apparato critico, il poema precedente, e un "Indice analitico" che approfondisce a tratti anche con un linguaggio piuttosto tecnico, un certo numero di voci significative che compaiono all'interno del testo. Il narratore del libro, ovvero l'autore immaginario sia della Prefazione che del Commento è Charles Kinbote, professore di letteratura in un'università americana, ma proveniente – a suo dire – da Zembla, un'immaginaria piccola nazione situata da qualche parte nell'area dell'est dell'Europa. "Fuoco Pallido", il Poema che Kinbote commenta, è invece un'opera del suo amico poeta (e collega di università) John Shade, conosciuto da poco, e che viene scritta dall'autore in 21 giorni e terminata solo poche ore prima della sua morte. Capolavoro.
Ci sono scrittori che, quando ti accosti ai loro libri, non riesci a fare a meno di pensare di avere davanti i risultati di una mente fuori del comune, un cervello con una marcia (letteraria) in più degli altri – o magari anche due –, dei geni assoluti insomma, come dei Mozart della Letteratura. Non sono molti, a dire il vero, a mio avviso. Così a occhio, almeno per quanto mi riguarda, li conto sulle dita di mezza mano. Anche considerando i grandissimi, pochi mi fanno quest'effetto. Non me lo fanno, per dire, i vari Steinbeck, Dostoevskij o Simenon. Ma nemmeno King, o Saramago, o Franzen, o DeLillo. Tra i contemporanei me lo fanno invece Thomas Pynchon (sebbene non riesca ancora ad apprezzarlo come mi piacerebbe, ma mi rendo conto che non è di questo mondo) e David Foster Wallace (che invece – per fortuna – apprezzo in maniera viscerale). Ebbene, nell'ambito di questa sparuta schiera di cervelli straordinari adesso ne devo aggiungere per forza anche un altro: Vladimir Nabokov.
Credo che recensirlo sia arduo prima di tutto, oltre che deleterio. Dirò solo che a livello di forma è un libro incredibile (romanzo, commento critico inventato di sana pianta, falsa autobiografia o biografia, thriller, puzzle, gioco intellettuale, suprema invenzione). Nabokov è stato uno dei più grandi scrittori di sempre e aveva tutte le qualità adatte per esserlo: ambizioso, tecnicamente dotato, narcisista quanto basta, ironico, sensibile, perverso... La sensazione è che, conosciuto ai più solo per Lolita, molti si siano persi il meglio della produzione dello scrittore russo. Fuoco pallido potenzialmente è TUTTO. Racconta qualunque cosa ma non sfilaccia mai l'esile trama (o meglio, la mole di fasci infiniti che dispiega) abbandonandola in favore di un intellettualismo fine a sé stesso. Tutt'altro che illeggibile come i pessimi lettori vorrebbero lasciare intendere; in realtà è un testo che seduce e respinge, freddo e intenso al tempo stesso. Un invito alla rilettura infinita. Cosa volere di più? Capolavoro assoluto.
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