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Lettura veloce, scorrevole, ricca di dialoghi. Storia ambientata in un breve lasso temporale, coinvolgente, una di quelle da cui nn ci si riesce a staccare. Consigliato.
Non sapevo molto di questo libro, solo il titolo e, lo ammetto, ho deciso di leggerlo per questo. "Un giorno questo dolore ti sarà utile": una frase potente, che dice molto, ma solleva anche un sacco di domande; tutti i dolori, davvero? Quando e in che modo? Ma soprattutto, quello che mi chiedo, sempre: mi sarà utile, forse, ma anche nel senso che mi aiuterà a essere felice? O solo più consapevole? Molte volte, le due cose non riescono a combaciare davvero. La vita interiore di James è molto profonda; lui avverte i limiti della comunicazione agli altri di questo suo mondo, come se dicesse "sento e penso troppo per metterlo dentro una parola", eppure ho avvertito che nella comunicazione con se stesso spazia in ogni suo angolo e, inoltre, una certa convinzione che gli altri lo possano capire agisce come limite nel suo comunicare: sicuramente James è un adolescente "diverso", ma penso anche che molto sia dettato dal fatto che si trova a confrontarsi con una generalità definita dalla società - e che lui accetta quando parla di tutti gli altri che "hanno la sua età" - dove è "normale" non essere così fragili, così pieni di dubbi, così persi a 18 anni. Nel capitolo finale, quando dice "Come faccio a sapere cosa vorrò nella vita? Come faccio a sapere cosa mi servirà?", ci ho visto un po' la presa di coscienza del "chissà" e non ho visto il suo andare all'università come una sconfitta al suo sentire perché, secondo me, ha capito che può decidere se una cosa sia un mezzo e non necessariamente la meta finale; cosa gli impedisce, poi, di andare a lavorare in una biblioteca? E ha avuto coraggio, è andato oltre e ha accettato che può portare avanti i suoi "no" verso qualcosa che non vuole fare, ma comunque non fermarsi e nascondersi e, così, imparare. Forse è questo il senso del "un giorno questo dolore ti sarà utile": davanti a certi dolori, non puoi fare altro che dover prendere la decisione di comprenderli, smanettarli, conoscerli come casa tua, e, così, finisci inevitabilmente per capire e capire non vuol dire sempre "essere felice", ma sapere, almeno penso, come agire per esserlo nel modo migliore considerando se stessi. Penso che James, con il confronto e capendo che sì, le parole non possono essere lo specchio di ciò che si sente, ma molte persone nascondono i propri pensieri e si può scoprire di essere più simile agli altri di quanto ci si percepisca diversi, possa imparare e quindi capire perchè quello che ha fatto a John è sbagliato, che non tutto si può ridurre a una frase, un termine e a una grammatica corretta. Lo stile di scrittura che intesse la trama è incredibile perchè ti sembra di essere nella testa di James; vedi i suoi con i suoi occhi, vedi la sua psichiatra con la sua granitica convinzione che non potrà aiutarlo perchè certe cose sono così come sono e, nello stesso tempo, con la curiosità di scoprire un nuovo linguaggio per vivere. E' interessante vedere il ruolo dei genitori, la loro difficoltà nel capire James e il cercare di fare cose concrete per aiutarlo; sua nonna, invece, lavora su un altro piano, l'ascolto e l'immedesimazione, il dire delle volte "in questo non posso aiutarti", il non fare sembrare un dramma ogni cosa - è un dramma non sapere a 18 anni cosa fare della propria vita? - e il cercare, comunque, di fare vedere un'altra prospettiva - perchè, chissà, cosa potrà accadere e una scelta non porta necessariamente a una prigione. Quando ho terminato il libro, ho pensato "non può finire così"; volevo una conclusione, ma poi ho sorriso: l'umanità di ognuno di noi, i nostri pensieri, sono in continuo movimento e non c'è conclusione, non a 18 anni comunque; l'autore ci fa vedere un pezzo di vita, soprattutto interiore, di una persona, magari più peculiare di altre, ma che sicuramente non può concludersi con una scelta. E' come incontrare qualcuno per strada, immaginarne la vita e poi lui gira l'angolo, e la sua vita continua: scrivere "e vissero tutti felici e contenti" è solo per le fiabe, così come sarebbe dire "ci fu solo dolore e mai redenzione". "Poi però mi sono reso conto che, se non mi muovevo, quel terribile momento sarebbe andato avanti per sempre, e l'unica mossa che mi è venuta in mente è stata prendere il telefono, e l'unica parola che mi è venuta in mente è stata - pronto -" Delle volte, bisogna dire "pronto", anche se non lo si è; vivere non può essere programmare ogni cosa, rimanere nel proprio mondo di pensieri dove tutto ha una logica, dove "ti conosci", e questo perchè anche parlando con il mondo, capisci che, se non per tutte le sensazioni c'è una espressione, è anche vero che una sensazione può non essere solo tua. E allora bisogna afferrare il telefono, anche se non si ha voglia, stringere i denti mentre si fa una conversazione che magari considererai "inutile" e vedere se lo sarà davvero. Se sarà "inutile", pace, ma non è buon motivo per chiudersi e non darsi la chance di essere felice nel modo migliore per ognuno. Più che una recensione, è una riflessione, ma non so se con questo libro si possa davvero fare diversamente. Ed è un buon motivo per leggerlo.
Rapito dall’invitante titolo, mi sono convinto di acquistare questo libro. Purtroppo la lettura è stata per molti versi deludente e banale. Non mi sento nemmeno di dire che questo libro possa definirsi come un romanzo di formazione, in quanto il protagonista (in cui mi sono per certi versi rispecchiato, ma che talvolta ho trovato ai limiti della sopportabilità) non matura in alcun modo durante il romanzo. Devo però spezzare una lancia in favore della leggibilità, che ho trovato buona e scorrevole.
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