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Anno edizione: 2019
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Testo non divulgativo, oserei definirlo “scientifico”, basato su innumerevoli dichiarazioni di pentiti (espresse in un italiano un po’ claudicante) e su brani di sentenze di tribunali o di conclusioni di commissioni parlamentari. Illustra il passaggio della ndrangheta dallo stato iniziale di cosche, indipendenti tra loro e limitate territorialmente e che si combattono con centinaia di morti ammazzati nelle due guerre di ndrangheta (iniziate rispettivamente nel 1974 e nel 1985) allo stato attuale in cui le cosche non si fanno più guerra ma si spartiscono il territorio e si presentano all’esterno (nel nord ricco che stanno colonizzando) come un organismo retto da un consiglio supremo (la Santa, inventata in quel periodo ed estranea alle tradizioni), a cui partecipano soltanto i capi più importanti e che possono fare quello che vogliono. La svolta avvenne con l’omicidio del magistrato Nino Scopelliti il 9 agosto 1991, commissionato alla ndrangheta da Salvatore Riina; all’agguato parteciparono i migliori killer dei due raggruppamenti ndranghetisti che fino ad allora si erano affrontati e che erano stati rappacificati dallo stesso Riina. “L’uccisione del giudice Scopelliti rappresenta uno spartiacque fondamentale nella storia della società reggina […]. Da quell’omicidio passano le nuove dinamiche criminali che hanno portato Reggio a vivere sotto la cappa della pax mafiosa.” [p. 269]. Da allora, la ndrangheta cerca di raggiungere i personaggi più importanti in tutti i campi (politica, imprenditoria, magistratura, forze dell’ordine, sanità, banche, …) al fine di trarre vantaggi per le imprese dei suoi capi e di “aggiustare” i loro guai giudiziari. “[…] un burattinaio occulto manovrerebbe i fili dell’intera città sedendo sulle poltroncine di semplici associazioni ma che di fatto occupa tutti i settori che invece dovrebbero associarsi fra loro per togliere il cappio della criminalità organizzata alla città, ma che invece avrebbero scelto di macchiarsi e invischiarsi nella melma dei con i soliti noti.” [p. 334]. Un pentito dice a p. 348: “… loro avevano agganci con il giudice Carnevale il quale gli annullava… il Giudice cosiddetto Ammazzasentenze, quello che annullava le sentenze per i timbri, dottoressa, per i timbri che non erano assenti”. Il 18 marzo 1998 il magistrato Salvatore Boemi dichiara alla Commissione Parlamentare Antimafia che, fin dall’inizio della sua carriera di magistrato, a soli 27 anni, tutti lo invitavano a far parte dei Lions, per poi chiedergli, dopo solo due o tre incontri, di come si sarebbe comportato in certi processi; Boemi capisce e non va più ai Lions. Molto appassionato di calcio, Boemi entra a far parte del gruppo dirigente della Palmese; ma anche lì, qualcuno che non c’entra niente con il calcio gli chiede se ha letto bene le carte di certi processi; Boemi rinuncia anche al calcio e se ne sta la domenica a casa a vedere le partite di calcio in tv e ad ascoltare buona musica con la sua famiglia. Per conservare la sua serenità e imparzialità, questo grande magistrato (ora purtroppo in pensione) ha dovuto rinunciare alla sua vita di relazione. “Tuttavia, prendo atto del fatto che altri magistrati hanno una casa al mare, una in montagna, una in città e una barca; non so come tutto questo sia possibile” [pp. 309-310]. L’anello di congiunzione tra boss della ndrangheta e pezzi grossi della società è la massoneria deviata: “Per quanto riguarda la massoneria, posso dire che è un connotato, un aspetto essenziale di queste nostre realtà meridionali che vivono di associazionismo. […] Tuttavia, qui c’è un’altra massoneria: quella che fa solo affari.” è ancora il magistrato Boemi che parla [p. 310]. Nel libro sono citati tanti personaggi ben noti ai Reggini, tra i quali: il giudice Tuccio, al soldo dei Piromalli; il faccendiere Paolo Romeo, che, sebbene già condannato in via definitiva, viene riverito da tutti con tutti gli onori (perfino da un giornalista del Tg2 che vuol far carriera in Rai): è uno che può far spostare i voti a proprio piacimento e può minacciare il sindaco Scopelliti, eletto con il 70% dei voti, di fargli perdere la maggioranza in consiglio comunale [p. 328]; i rampolli dei De Stefano, cosca dominante in centro città, che partecipano alla movida reggina e frequentano tutta la Reggio Bene [p. 324]; il notaio Marrapodi che chiarirà al magistrato Boemi tutti i rapporti tra ndrangheta e massoneria, ormai indistinguibili, e che formano una unica entità, la massondrangheta; ufficialmente, il notaio Marrapodi morì suicida, ma il primo a non crederci è Boemi. Testo consigliato a chi deve studiare seriamente l’argomento e soprattutto ai migliori studenti delle scuole reggine, che sono l’unica speranza di questa città.
Un libro che ogni italiano dovrebbe leggere. È bene dire ogni italiano perché anche se il cuore pulsante delle mafie si trova in Italia meridionale, sappiamo tutti che le arterie sono diffuse dovunque. È un libro che mette ordine, pieno di significati e di significanti, e che attribuisce un senso a tanti episodi fino ad ora conosciuti solo dai racconti di chi le ha vissuti. Ma molte vicende hanno segnato anche la nostra vita. Non è facile nascere, crescere e formarsi in un territorio castrante come quello reggino. Chi lo ha vissuto può leggere oltre le righe, chi si è ribellato può vedere ciò che altri non riescono a vedere. Mi riferisco al suono delle sirene in piena notte, al clima di tensione, alla sensazione insopportabile di non potersi fidare del prossimo, al cattivo odore di malaffare. È bene aprire gli occhi e Gotha aiuta a farlo. Da leggere, assolutamente!
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