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Aldo Cazzullo raccoglie in questo libro, dedicato al nonno militare nella Grande Guerra, e ai soldati che nonni non poterono diventare, testimonianze di chi, sui monti e nelle trincee del Veneto e del Trentino, combatté per l’esercito italiano nella Prima Guerra Mondiale. Non sono solo uomini: ci furono le crocerossine che, nelle immediate retrovie del fronte, curavano i feriti, scrivevano alle famiglie dei caduti, chiudevano gli occhi ai morti. Ci furono le portatrici, ragazze dei paesi di confine, reclutate per portare munizioni su impervi sentieri di montagna. Ci furono le prostitute delle retrovie, nei desolati bordelli descritti da Remarque. Gli attacchi, sui monti carsici di sola roccia, erano insensati e terminavano con inutili, spietati massacri. Chi si tirava indietro era ucciso sul posto come vigliacco, e i generali italiani erano i più implacabili nelle decimazioni ordinate da Cadorna. I gas facevano migliaia di vittime nelle trincee, senza che si sparasse un colpo. Fu una guerra feroce: il corpo speciale degli arditi, costituito dopo Caporetto e celebrato dal fascismo, combatté con valore ma non faceva prigionieri. C’erano anche i volontari, spesso intellettuali esaltati da ideali retorici. La parte del volume dedicata a fatti solo marginalmente collegati alla guerra non è invece molto interessante: con stile giornalistico Cazzullo compone un puzzle di episodi, citando Hitler e Mussolini, Ungaretti e D’Annunzio. Sono frammenti di testimonianze, il libro non vuole essere un saggio storico o di strategia militare: raccoglie le voci dei soldati e degli ufficiali, di chi vedeva l’orrore della guerra al fronte, non di chi decideva in una stanza davanti a una mappa o a un plastico. Racconta la retorica di chi voleva la guerra e la disperazione di chi era costretto a farla. Per quanto, a cento anni dal conflitto, molti fatti siano noti, la rievocazione di quegli episodi è un momento importante di storia italiana. Interessante il contributo dei lettori.
Ho divorato questo libro, perchè mio nonno era un Cavaliere di Vittorio Veneto. Era molto orgoglioso di questa onorificienza, e tutte le volte che indossava il vestito "buono"metteva lo scudo di Cavaliere. E' morto che avevo poco più 15 anni, abitavamo...lontano (allora fare 150 km pareva un odissea, ora in poco più di un ora lo potrei andarelo a trovare tutti i giorni...!!! )Non mi ha mai raccontato niente, se non che aveva un paura tremenda, e che sparava dalla trincea senza neanche guardare dove sparava ( o forse era quello che mi raccontava per non dirmi altro...) Questo libro in grandi linee, mi ha fatto capire cosa hanno subito e visto quegli occhi azzurri che avevo di fronte.Ho poi fatto io militare negli Alpini, e come campo lavoro sono stato un mese a ripulire la strada degli Eroi, sul momte Pasubio, e un pò ho potuto immaginare la vita di questi soldati. Mio nonno è morto nel 1972, ed e i suoi reti sono stati riesumati nel 2014. Io, contro tutti i miei fratelli, che mi dissudevano, ho voluto assistere alla mesta cerimonia, ricordando che una volta chiesi a mio padre, dove era finita la medaglia di Cavaliere di mio nonno. Lui mi rispose che era nella tomba con lui.Al necroforo, chiesi se era possibile che venisse ritrovata, e questi mi disse che se era d'oro, si, era possibile. Per farla breve, ora la ho io, e la custodirò gelosamente, per tutta la vita.
Purtroppo l'autore, nonostante l'abbondanza del materiale a disposizione, non è riuscito a trasmettere a chi legge le sensazioni, le emozioni e anche gli aneliti di chi, in battaglia o sul fronte interno, fu impegnato in quel sanguinoso conflitto. I motivi sono più d'uno: l'impostazione dell'opera, senza idee ben precise sul messaggio che con essa si voleva comunicare; il taglio giornalistico della scrittura, imputabile anche al fatto che Cazzullo è inviato ed editorialista del Corriere della Sera; il tono, che non è mai in linea con ciò che si sta scrivendo, nel senso che è distaccato quando l'autore dovrebbe essere partecipe ed è invece enfatico quando invece occorrerebbe la logica freddezza di un necessario approfondimento; ed è proprio nell'approfondimento che è carente, nel senso che manca questa caratteristica indispensabile per definire saggio storico il libro, che invece finisce con il trascinarsi in notizie, peraltro già ben note. Forse il desiderio di raccontare tutto è andato a discapito della qualità, ma questa è una colpa dell'autore che doveva senz'altro parlare della Grande Guerra nell'ottica degli umili soldati che l'hanno combattuta, ma poi questo obiettivo si deve essere perso per strada, fra tanti capitoli di argomenti diversi, che non hanno neppure un filo logico che li unisca. Ne risulta una sorta di minestrone, che se non è indigesto, però risulta anche senza sapore, al punto che dopo aver letto mi sono pentito di essermelo procurato. Dulcis in fundo le fonti non vengono citate ed è logico in un libro che non dice nulla di più di quanto già sapessimo, scritto per onorare la memoria dei nostri nonni che, però, se fossero ancora vivi, avrebbero non poco da risentirsi.
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