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Un libro straordinario, forse il più bello e interessante fra quelli scritti sulla Prima guerra mondiale. L'uso di fonti popolari trasporta il lettore dentro quel terribile evento e gli fa sentire che cosa fu per la gente comune. Gibelli si conferma uno dei più originali studiosi della Grande Guerra.
Più che difficile, il rischio per questo libro è di essere ripetitivo. Perché alla fin fine le lettere dei soldati si assomigliano tutte. A chi volesse capire l'importanza e le dinamiche delle corrispondenze tra soldati al fronte e familiari basterebbe leggere le prime cinquanta pagine. Molto interessante il capitolo sullo stato e sulle fatiche dei prigionieri. Anche Gibelli però, come altri autori, parla molto di Caporetto e mai di Vittorio Veneto. Accanto ai capitoli su combattenti, fuggiaschi, prigionieri e, alla fine, la via di casa, ci sarebbe stato bene anche un capitolo sulla vittoria. Possibile che non ci sia qualche lettera di soldati che ne parla e che sia interessante da citare?
Libro eccezionale che ha il pregio di descrivere le atrocità della Prima Guerra Mondiale in modo inedito, cioè prendendo come fonte privilegiata tutto il materiale (epistole, diari, quaderni di memorie) dei soldati, arruolati senza ben sapere dove stessero andando e, soprattutto, perché dovessero combattere una guerra di dimensioni così immani. Il tutto in un modo assai originale: cioè riportando le lettere scritte da uomini semianalfabeti, così com'erano senza cambiarle, per far capire al lettore la difficoltà di queste persone (poco scolarizzate e quasi per nulla propense a parlare la lingua italiana nella loro quotidianità) a descrivere un evento così catastrofico con quei pochi mezzi culturali di cui disponevano. Qua e là si trovano anche lettere scritte da persone di estrazione borghese, le uniche in cui traspaiono i sentimenti nazionalisti e risorgimentali, mentre in quelle del popolo minuto due sono le parole d'ordine che ritornano con maggior frequenza: morte e pane.
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