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Tendenzialmente esistono 2 tipi di band al mondo: quelle che diventano famose grazie a un sound ben preciso e continuano a sfornare cd su cd sempre uguali per anni e anni (vi dice niente il nome Iron Maiden?), e quelle che decidono di sperimentare, in alcuni casi capovolgendo lo stile che le ha rese famose, col rischio di mettere a repentaglio la propria carriera (come i maestosi Beatles). Detto ciò faccio un passo indietro per dirvi di cosa parliamo oggi. Correva l'anno 2006, quattro ragazzi inglesi, ritenuti ormai degli eroi della scena underground, debuttarono nel mercato mainstream con un album intitolato “Whatever People Say I Am, That's What I'm Not”, i 4 ragazzi erano (e sono tutt'ora) gli Arctic Monkeys e l'album detiene il record mondiale di vendite in una settimana, ben 8 milioni di copie. Non male per 4 ragazzini brufolosi di Sheffield, non credete? Un anno dopo, il tempo necessario per cambiare bassista e scrivere nuovo materiale, i 4 ragazzi erano nuovamente sulla cresta dell'onda con una nuova raccolta di inediti “Favourite Worst Nightmare”. Con questi 2 album il quartetto si è distinto per un sound energico e veloce come un treno (a parte qualche eccezione in un paio di canzoni) e per dei testi carichi di humor tagliente come un rasoio tipicamente inglese. Comprando un album degli Arctic Monkeys ti aspetteresti questi 2 aspetti, un colpo sicuro direte voi. Poveri illusi. Son stato anch'io un povero illuso, lo ammetto. Si, perchè anche le scimmie artiche son cadute nel tunnel della sperimentazione, cercando la via della maturazione artistica inseguita da tante band giovani e raggiunta da pochi. Ascoltando “Humbug” non posso fare a meno di immaginarmi i 4 ragazzi riuniti a un tavolo che si chiedono cosa li ha resi famosi con l'unico scopo di eliminare quell'aspetto. “Siamo diventati famosi grazie al nostro sound inglese? Il nuovo album registriamolo nel bel mezzo del deserto del Mojave!”, e ancora “Le canzoni energiche e ritmate? VIA! Che ne dite di darci una calmata?”. Ora capisco il titolo dell'album. Humbug sta per burla, scherzo. Bello scherzo che ci hanno fatto le scimmie, cambiare ciò che ce li ha fatti amare senza neanche avvisare. Al primo ascolto è un album che si maledice, davvero. Se nei precedenti lavori ad aprire le danze avevamo 2 canzoni che definire trascinanti sarebbe riduttivo (The View From The Afternoon e Brianstorm) qui abbiamo My Propeller la cui carica energetica dura *rullo di tamburi* ...6 secondi appena. Il resto dell'album è scivolato via velocemente, “anonimo e asettico”, questo è quello che ho pensato di Humbug. Da fan delle scimmie mi sono sentito offeso, tradito, schifato e ho abbandonato il cd, reazione esagerata, lo ammetto. 2 giorni dopo ho ripreso in mano l'album, cavolo non può far così schifo. E in effetti mi ritrovo tra le mani un fottuto album con la A maiuscola diamine. Humbug è un album che va assimilato pian piano, i frettolosi difficilmente riusciranno a coglierne le svariate sfumature, brani come Secret Door o The Jeweller’s Hands eccellono per allegorie presenti nelle liriche, certamente di più difficile assimilazione rispetto ai classici testi dall’humor tagliente da working class. Non che quest’ultimo sia del tutto assente, anzi, troviamo cattiveria pura in Dance Little Liar (“And the clean will commend the hurt, And you can never get it spotless, When there’s dirt between the dirt”) piuttosto che in Pretty Visitors (“Who came first, the chicken or the dick-head?”). Nonostante le canzoni siano molto differenti tra di loro hanno come punto in comune vari aspetti di un rapporto di coppia, che si tratti dell’energia che esso ti dona (My Propeller), della passione quasi animalesca che prevale sulla ragione (Dangerous Animals), della tipica ragazza “stronzetta” che ci fa penare (Crying Lightning), del trovare il coraggio di approcciarsi con una ragazza attraverso l’alcool inteso come “pozione” (Potion Approacching), ecc ecc… Menzione particolare per Cornerstone, traccia dolce e romantica in cui l’innamorato vede la sua bella ovunque in seguito a una forzata separazione (narrata in Fire & The Thud) , assoluto capolavoro e forse uno dei punti più alti dell’intero repertorio dei Monkeys. Inutile spendere parole sulla preparazione tecnica dei ragazzi, la sezione ritmica della band fa come al solito il suo sporco lavoro, costruendo una solida impalcatura sulla quale le chitarre ci si arrampicano grazie a riff più psichedelici rispetto a quelli grezzi e diretti del passato. Stupido, non posso che definirmi tale per essermi fermato alle apparenze. Scordatevi gli Arctic Monkeys come li conoscevate. Le scimmie sono morte, viva le scimmie!
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