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Si potrebbe dire che Aime sia uno dei cultori dell'Antropologia del "vicino"... Anzichè seguire i percorsi della "grande" Antropologia, interessata ai luoghi esotici, egli si è concentrato sul suo personale "vicino", sulla base anche di prossimità culturali e di origine. E così, agli esordi della sua carriera di antropologo, l'autore, ancora studente, decise di fare ritorno al piccolo borgo alpino dal quale si era originata la sua famiglia: una famiglia di montanari che fondamentalmente si suddividevano tra pastori transumanti (oggetto di un suo successivo studio) e contadini che vivevano in una valle stretta (la Chalancho), chiusa al sole per molte ore del giorno e in cui ogni momento della vita quotidiano a era regolata da ritmi arcaici e da regole sociali rigide. Una vita dura, grama, in cui ogni singola cosa doveva essere strappata alla terra e al bosco dal duro lavoro. Il giovane Aime fa dunque ritorno al piccolo paesello ed incontra qui gli anziani contadini, con i quali intraprende un discorso alla ricerca di informazioni sulle credenze relative alle "masche", cioè alle streghe (convinzione generiche, indeterminate, che comunque entravano nell'immaginario collettivo attraverso le narrazioni ripetute ritualmente da narratori designati durante le veglie invernali. A poco, superando la diffidenza iniziale, grazie alla possibilità di parlare lo stesso dialetto, a poco a poco Aime è riuscito a delineare un quadro in cui inserire le credenze sulle masche, come espressione di tutto ciò che si colloca nel "lato selvatico del tempo". A distanza di tempo, egli ha voluto riprendere questo studio, per pubblicarlo, lasciandolo intatto e senza nulla modificare sulla base delle competenze critiche acquisite successivamente e ciò per mantenere la freschezza del testo originario. E' un piccolo studio interessante che mostra in maniera cruda - ed anche malinconica - un mondo di relazioni e di regole, oltre che di ritmi serrati e di duro lavoro, in via di estinzione.
Bellissimo spaccato d storia . Complimenti.
Recensioni
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