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Di difficile datazione, composto dopo il 1605 e prima del 1610, nella fase finale del Bardo, pone qualche problema di interpolazione. Ma la complessità del Canone di Shakespeare (alcuni ne misero in dubbio l'identità!) è la sua bellezza. E una gita nell'idilliaca Stratford-on-Avon, sui luoghi del poeta drammaturgo, vale a rassicurare della verità del genio del teatro. Chiunque, lettore o attore, praticante o esperto, avvertirà "Macbeth" come indispensabile: la più breve delle tragedie shakespeariane è la più violenta e disillusa, specchio della Grande Crisi del Seicento che il Bardo decise di dislocare in un mondo vuoto, come i migliori critici sottolinearono - Gabriele Baldini nel suo prezioso "Manualetto" e Harold Bloom autore della formula: Shakespeare=invenzione dell'uomo moderno -. Alla Scozia della cronaca storica, che come sempre Shakespeare conosce e aggiorna, si è sostituito il regno dell'oscurità, annunciato dalle "tre sorelle" o "streghe" - Parche del Nord -. Il destino di Macbeth e della sua Lady è un rebus malefico ma affascinante, la coppia che attuerà il regicidio, e i delitti vaticinati, è affiatata, appassionata, si confessa e sostiene. Non possiamo restare indietro, seguiamo la vicenda identificandoci. Così percorriamo il "sentiero fiorito" che conduce all'"eterno falò". Non abbiamo paura del male, ma di quanto ci detta la loro complicità. Non temiamo i fantasmi della scena, ma i prodigi dell'immaginazione, alberi che camminano e acqua che non lava più il sangue. Sentiamo i loro passi nel buio e d'un tratto siamo noi mostrati da una torcia. Qualcuno bussa. Un grido. L'intera baracca umana è rivoltata dalle sensazioni di Shakespeare e ridotta nella celebre ammissione di Macbeth, dopo la morte della compagna, a una scarica di suoni che vanno spegnendosi. È stata la volontà di autoannientamento a condurci qui, la cerca del potere non è stata che l'occasione per le nostre instabilità doppiezze fragilità. Il fato, per Shakespeare, è scoprirlo in noi.
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