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MARCELA SERRANO - IL MANTELLO “Il mantello” non è un diario, né una biografia di Margarita, la sorella dell’autrice che il cancro ha strappato alla vita. “Sono soltanto appunti sull’elaborazione di un lutto”, come lei tiene a precisare, scritti nella convinzione che solo intessendo frasi una dopo l’altra, avrebbe sfidato la sua morte. La scrittura serve a sopravvivere e, come ogni atto creativo, cauterizza le ferite, proprio come quel mantello, cucito da Clara Sandoval, che servì ad avvolgere la bara del figlio. Mentre Marcela Serrano si racconta, torniamo a guardare quella figura di donna che in copertina procede da sola lungo un viale alberato e comprendiamo … La sua immagine riflessa nell’acqua è in compagnia. Lo sguardo ci restituisce due distinti piani spazio-temporali, su e giù, prima e poi, che testimoniano l’assenza, la perdita e la ricerca spasmodica della persona cara, come ci ricorda più avanti: “Non pretendo di fare come Orfeo e rapire Margarita, vorrei solo vederla qualche minuto, chiederle come va lì sotto, se ha trovato un nascondiglio dove filtri un po’ di luce.” L’autrice con la sua narrazione dà voce ai pensieri e ai sentimenti che ci devastano quando perdiamo gli affetti più cari, e lo fa seguendo la strada del ricordo e quella delle letture preferite (S. Freud, M. Klein, P. Roth, P. Claudel, E. Canetti, V. Woolf, C. Lewis, ed altri), nelle quali cerca confronto e conforto. E se affiora la paura di non soffrire più e di dimenticare, perché il lutto è discontinuo, per lei diventa forte la tentazione di scegliere la pigrizia del dolore, la trascuratezza, il lasciarsi andare per convivere con la morte. Ma poi riaffiora il sorriso quando leggiamo la moderna soluzione familiare per recitare il rosario e recuperare il mantra di guarigione collettiva chiedendo a “san Google” i misteri dimenticati… Un nuovo santo da ringraziare. Il viaggio nella memoria, elogio dei sentimenti, continua per rendere eterna la figura della sorella. Alla ricerca del sollievo nel presente, l’autrice si affida alla scrittura, ma poi, come faceva da bambina, si ritrova a ritagliare e incollare e allora viene fuori il collage delle foto di Margarita. Un vano tentativo di ridare la vita a chi ormai non c’è più, perché ciò che vede sono i suoi occhi che la fissano e la sua bocca che non ha più fame né sete, un’immagine viva solo su carta. È un racconto doloroso che invita ad una lettura agevole, grazie anche alla scansione in paragrafi brevi. Un altro da aggiungere a quelli che già ci accompagnano nel nostro personale viaggio di elaborazione, con nuovi spunti di riflessione e di condivisione. Maria Teresa Lezzi Fiorentino
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