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Se è vero (e personalmente ne sono da sempre convinto) che il talento di uno scrittore si veda anche e soprattutto da come sa destreggiarsi con le forme brevi, allora questo libretto, non conosciuto quanto meriterebbe, è una della più eloquenti prove della grandezza letteraria di Sciascia. Vi si raccolgono tredici scritti nati tra il 1959 e il 1972, il cui carattere svaria dalla tranche de vie alla ricognizione storica e al divertissement erudito, e dove ai carismi del narratore si abbinano quelli dell’elzevirista e del polemista. Fra i testi più specificamente narrativi, quello che dà il titolo al volume è il più lungo ma nel contempo anche il più lineare nell’intreccio e il più ricco di umana immediatezza. Si tratta della cronaca di un viaggio ferroviario da Roma a Gela, che per il protagonista, un ingegnere settentrionale, sembrerebbe iniziato sotto il peggiore degli auspici, in uno scompartimento stipato di adulti loquaci e bambini pestiferi: e invece si rivelerà un’esperienza intensa e piacevole, al punto da fargli forse scoprire l’amore. E in parallelo l’intonazione del racconto, dapprima ironica e distaccata, si fa sempre più partecipe e pervasa di un affettuoso senso di adesione alla vita: “non si può aver fede nella tecnica senza aver fede nella vita: non si può andare in orbita intorno alla terra se non per il fatto che ci sono bambini che hanno quattro anni, bambini che nascono, bambini che nasceranno. Ma la nostra società comincia a vedere i bambini come problema, come già negli Stati Uniti, con tutto lo studio di pedagogia e di medicina che si svolge sul problema della loro libertà. Il punto è questo. I bambini non sono un problema. Una società che se li pone come problema li distacca da sé, provoca una soluzione di continuità”.
Scrive Sciascia in una nota in calce a questo libro “ Questi racconti sono stati scritti – con altri, pochi, che non mi è parso valesse la pena di raccogliere e riproporre – tra il 1959 e il 1972.”. Si tratta questo di un periodo fecondo in cui vedono la luce, giungendo felicemente a compimento, opere come Le parrocchie di Regalpetra, Il giorno della civetta, A ciascuno il suo. Questi racconti costituiscono così delle parentesi nell’ambito di una produzione di assoluto rilievo, quasi uno svago creativo, pur riprendendo in taluni casi tematiche care all’autore, come il problema della mafia e l’analisi storica di eventi del passato. In queste tredici prose, di piacevolissima lettura, Sciascia non viene meno alla sua capacità di esame critico, ma più ormai per un’inveterata abitudine che per lo scopo di far sorgere dubbi, porre quesiti, azzardare soluzioni alternative. Con ciò non devono essere intesi come una produzione minore, perché riflettono, per stile e capacità di affrontare svariate tematiche, tutta la linea letteraria dell’autore, ma è presente una freschezza, una levità di esposizione, un approfondimento meno marcato che fanno pensare a uno Sciascia in vacanza, con un occhio più attento alle esigenze del lettore, desideroso di divertirsi, senza essere scioccato da rivelazioni più o meno eclatanti. E in effetti il piacere è assicurato, pur nell’alternanza di racconti di tema disomogeneo, ma connotati tutti da una sottile ironia che a volte muove anche al riso, come in Filologia, un’animata discussione sull’origine del termine “mafia”, oppure come Il lungo viaggio, l’avventura tragicomica di nostri emigranti siciliani decisi ad arrivare negli Stati Uniti per vie non ufficiali, senza dimenticare il gustoso Un caso di coscienza, in cui le corna e i possibili cornuti sono oggetto di divertenti osservazioni. Che poi questa ironia finisca con il riflettersi un una vera e propria autoironia, ciò è proprio di Sciascia, intellettuale in prima linea, e anche Don Chisciotte impegnato in una lotta per la verità che non gli renderà di certo la vita facile. Il mare colore del vino prende il titolo dall’omonimo racconto che è un lungo viaggio in treno, in uno scompartimento riservato e affollato, con una caratterizzazione dei personaggi a dir poco ineccepibile e di grande efficacia. Qui l’ironia si attenua e si lascia andare alla fine a una speranza, con lo sbocciare imprevisto di un amore, narrato con estrema delicatezza, quasi sussurrato. Ma, racconto dopo racconto, per quanto le tematiche siano differenti, ci si accorge della straordinaria capacità dell’autore di narrare di uomini, dei loro pregi, dei molti difetti, avulsi anche dal contesto storico, così che l’impressione che si ricava è che l’evoluzione della specie sia in effetti molto più lenta di quanto si potrebbe pensare se ci si basasse solo sulle realizzazioni e sulle scoperte scientifiche. Non c’è infatti molta differenza fra il Verzeni, assassino seriale della seconda metà del XIX secolo, e i mostri che attualmente sfogano in modo bestiale i loro bassi istinti; anche l’amore, che sboccia in uno scompartimento, un amore fatto di attenzioni e di frasi dette e non dette, non è dissimile da quello che nasce oggi, purchè si tratti di vero sentimento, e non solo di irrefrenabile attrazione carnale. Ed è per questo che Il mare colore del vino e tutte le altre opere di Sciascia appaiono ancor oggi attuali, perché sono senza tempo. Da leggere, senza alcun dubbio.
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