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Anno edizione: 2016
Anno edizione: 2013
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Ho comprato questo libro perché avevo voglia di leggere qualcosa di leggero, che non impegnasse più di tanto il cervello e che mi strappasse qualche sorriso. Mi è stato consigliato questo libro (in generale tutti quelli di questa autrice) a tal proposito. Ho una concezione della leggerezza che si discosta molto da quella della superficialità. La trama è molto banale, il solito dramma della donna lasciata che si innamora di un uomo perfetto e - guarda un po' - già impegnato. Anche il finale risulta molto prevedibile e non potrebbe che essere quello data la finalità del libro tutta proiettata verso un happy ending, anche se riesce bene a tenere il lettore in dubbio. La scrittura è molto semplice, senza particolari virtuosismi o ricercatezza, ma dopotutto è un libro destinato al grande pubblico. Alcune parti sono molto carine e divertenti, altre parti spingono troppo verso il comico e falliscono miseramente, altre parti ancora sono molto più serie e stridono tantissimo rispetto al trend del libro, risultando quasi surreali e ridicole. Tutto sommato è un libro che riesce assolutamente nel suo intento di intrattenere e far passare qualche ora in spensieratezza. Sicuramente un libro che non può e non deve entrare negli annali, ma dopotutto nemmeno ci prova. Sconsigliato ai cinici e a chi non crede nelle belle sorprese che ti riserva a vita.
Premessa: se non fosse stato scelto dal mio gruppo di lettura, probabilmente non avrei mai scelto di leggere questo libro. Premessa 2: non leggo molta chick-lit, apprezzo la Kinsella per il suo stile che rende piacevole il trascorrere il tempo con un suo libro; di base quando mi sono ritrovata a leggere questo genere di libri avevo la necessità di una lettura divertente, di un intrattenimento non impegnativo, insomma dell'equivalente di quello che in un pranzo di nozze è il sorbetto al limone: un interludio rinfrescante e piacevole ma effimero. (il che ci porta alla) Premessa 3: mi sono accostata alla lettura di questo romanzo non con le aspettative che magari potrei avere per - che so - un Pratchett (che mi sa divertire ma con una maggiore profondità), ma pronta a usare tutte le mie riserve di sospensione dell'incredulità pur di avere una storia scritta bene e che adempisse al compito primo di ogni storia: intrattenere (oh, Shahraz?d con l'intrattenimento s'è salvata la vita!). Dalle premesse è chiaro che il romanzo non mi sia piaciuto, e in primis a non piacermi è stato proprio lo stile: una serie di luoghi comuni, un mare di puntini di sospensione, colpi di scena telefonatissimi e un'ironia che - francamente - non ho percepito. Ora, con un romanzo di questo tipo dove la trama è generalmente prevedibile, per me lo stile è FONDAMENTALE: brio, ironia, una certa grazia nella narrazione, capacità descrittive che non mi facciano pensare di star conversando con un'adolescente anziché leggere i pensieri di una trentenne, una caratterizzazione dei personaggi coerente, sono questi i fattori che fanno da discriminante. Qui ci ritroviamo a seguire le vicende di Cristina - 32 anni e un destino che pare accanirsi contro di lei - che incontra l'uomo dei suoi sogni ma scopre che è fidanzato (isn't that ironic?) e si trova intrappolata in una situazione lavorativa insoddisfacente in cui la sua 'capa' le fa realizzare dei servizi televisivi imbarazzanti, il tutto raccontato dal punto di vista della protagonista che ricorda - con le sue fantasie ad occhi aperti - una Lizzie McGuire invecchiata molto male, ossia senza maturare affatto. Tra l'insofferenza di Cristina per i moderni mezzi di comunicazione che ci rendono sempre più social e sempre meno sociali e i servizi televisivi che deve realizzare per documentare alcune 'difficili realtà' - oltre che dal chiaro disgusto verso la sua 'capa' che sembra una versione più becera di Barbara d'Urso - ho avuto il sospetto che l'autrice volesse convogliare anche un messaggio di critica sociale [o tempora! o mores!] che facesse da contraltare alle 'simpatiche disavventure' della povera Cristina, così da dare anche un intento "nobile" ad una storia banale ma, secondo me, senza riuscire a cogliere nel segno, anzi facendo passare - grazie alla mentalità della protagonista - il fatto che fare battute velate di una omofobia latente sia accettabile e simpatico. Contrariamente alle aspettative è stata una lettura pesante, estenuante, 'lunga' (mi rendo conto di averlo letto in tempi brevi, ma ogni pagina sembrava interminabile!) ed - a tratti - irritante, insomma non certo il piccolo intermezzo piacevole e poco impegnativo che mi aspettavo di trovare. PS. Cristina ha un pregio: ha un gatto cicciotto che si chiama Supplì e che mi ricorda Polpetta, il gatto cicciotto di una mia carissima amica.
Un libro che si legge tutto d'un fiato per lo stile fresco e ironico utilizzato dall'autrice, ma che non manca di offrire temi di riflessione come il lavoro e il desiderio di autonomia della generazione di giovani odierna. La Bosco descrive i suoi personaggi con originalità, rendendoli in tutto e per tutto veri, simili alle persone che ogni giorno ciascuno può incontrare nel suo percorso di vita. Un romanzo divertente, adatto per i momenti di vero relax.
Recensioni
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