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Anno edizione: 1995
Anno edizione: 2017
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Ogni libro che tratti di quella grande tragedia che è stato l'olocausto vale la pena di esser letto. Wiesel narra, in questo libro, la sua dolorosa esperienza di deportato e il suo primo contatto con il male e anche di come esso abbia influenzato la sua crescita e il suo rapporto con la famiglia (con il padre, in particolar modo). Le pagine sono toccanti, tristi e delicate nello stesso tempo. Wiesel non indugia su particolari terribili e, nonostante il tema trattato, la sua scrittura è lieve e non esente da immagini poetiche e liriche. Questo è un romanzo sul male assoluto, sulla cattiveria umana, sulla disperazione che ti fa arrivare alla negazione di Dio o di qualsiasi altro tipo di giustizia divina. Ed è un romanzo che sul male porta a riflettere: ogni volta che giudichiamo qualcuno negativamente per il suo orientamento religioso, sessuale, politico, ecc. alimentiamo il male. Ogni volta che formuliamo un pensiero di odio ingiustificato ci mettiamo dalla parte del male. Ve lo consiglio caldamente, non solo per la valenza storica ma anche perché è uno di quei romanzi che fa riflettere e porta a guardare il mondo da un'altra prospettiva.
Una lettura dell’olocausto che passa per lo sguardo disperato di un bambino che vede volare in fumo nero la vita dei suoi simili, in una notte che algida non esprime che indifferenza verso l’abbandono al male assoluto. Non più speranza né tentativi di spiegazione, ma solo rabbia e vuoto verso quel Dio che non guarda, non interviene e forse quindi neanche esiste. Lo sgomento sale al cuore frustando la coscienza morale e storica, secondo modalità che non sono omologabili.
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