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Qual è il vero Bolano, quello dei "Detective selvaggi", ironico, erudito, dinamico oppure il colto pretino di "Notturno cileno" che, nella Santiago delle vie gialle, "geometria del coprifuoco" del post golpe, viene segretamente condotto alla residenza di Pinochet per spiegare a lui e ai suoi generaloni il marxismo in dieci lezioni? E' quello del realvisceralismo oppure l'anima in pena che, in punta di gomito, al limite delle forze, cerca nella sua mente invasa di ricordi una qualche valida giustificazione della propria esistenza tra rispetto della letteratura, fede cristiana ed opportunismo durante la dittatura militare? E' il Bolano dell'incessante vagabondare nel deserto messicano oppure lo statico pretino che deve continuamente fare i conti con il "giovane invecchiato" (la propria coscienza) sempre pronto a rinfacciargli ogni comportamento oltre alle squallide serate nella casa-salotto di Maria Canales, simbolo del nulla culturale durante l'era Pinochet e anzi culla di torture ai danni di dissidenti? E' forse l'uomo che si fa ostaggio di due misteriosi personaggi i cui curiosi nomi sono anagrammi di sentimenti quali la paura e l'odio (il signor Aruap e il collega Oido), novelli gatto e volpe cileni di collodiana memoria? Non saprei dare una risposta esaustiva. Certo è che Bolano o ti piace da matti o lo eviti dopo pochi capitoli. Anche in "Notturno cileno" Bolano mi ha accompagnato col suo affabulare magico, permeato (sì questa volta) da rimorso e tristezza, tanto da chiudere il romanzo con una frase che è lo specchio di chi sostituisce l'ironia con la rabbia: "E poi si scatena la tempesta di merda".
Difficile lettura che ha richiesto la dovuta concentrazione sul testo, ma le letture più sofferte sono anche quelle che alla fine danno più soddisfazione, perché spingono a fare maggiore attenzione al nostro sentire per decifrare le emozioni che ci hanno suscitato. Questo libro è stato, per l’appunto, una lettura impegnativa: il rapporto con lo scrittore non si è creato da subito; ci sono volute pazienza e tenacia come quasi in una sfida, ma a mio giudizio ne è valsa la pena. Il protagonista recita un monologo nel suo ultimo scorcio di vita terrena e noi non possiamo non ascoltarlo. Parla davanti ad un interlocutore muto che potremmo essere anche noi e, perciò, non si può andar via senza che quel discorso si sia svolto fino alla fine e aver tentato di capirne le ragioni. Scrittura difficile, dicevamo, e discorso complesso che ritrae un uomo mediocre che ha fatto della mediocrità una strategia di vita. E’ un tipo umano come tanti, un Don Abbondio dei nostri tempi : ”… il coraggio, uno, se non ce l’ha , mica se lo può dare…” (cit. manzoniana). E’ una colpa la mediocrità? Sebastian ha agito secondo natura, non poteva fare altrimenti. Non si può essere eroi senza averne i requisiti. E’ semmai una beffa del destino che tali personaggi si trovino molte volte al centro della Storia e contribuiscano loro malgrado al suo corso. Lo scrittore porta Sebastian alla nostra attenzione quasi chiedendocene un giudizio: è colpevole di reticenza? Non era solo lui a sapere. E allora quante colpe ha più degli altri? Certo le responsabilità sono individuali, ma da soli le guerre non si vincono. Di sicuro non lo approviamo, ma nell’attesa di formulare il capo d’imputazione, concediamo a Bolano di guidarci nel tormento finale di un peccatore che, nell’ora più buia, sta già espiando.
Il Cile è lo sfondo ed il filo rosso che conduce la narrazione sul sentiero dei ricordi del protagonista, dove incontriamo i personaggi che hanno reso il Cile foriera di tante difficoltà ma che, nonostante tutto, l'autore di questo piccolo gioiello non smette di amare e spronare. Un libro breve ma ricco di quelle suggestioni poetiche e magiche che hanno fatto di Bolaño uno scrittore amato e discusso.
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