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Anno edizione: 2016
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Qual è il vero Bolano, quello dei "Detective selvaggi", ironico, erudito, dinamico oppure il colto pretino di "Notturno cileno" che, nella Santiago delle vie gialle, "geometria del coprifuoco" del post golpe, viene segretamente condotto alla residenza di Pinochet per spiegare a lui e ai suoi generaloni il marxismo in dieci lezioni? E' quello del realvisceralismo oppure l'anima in pena che, in punta di gomito, al limite delle forze, cerca nella sua mente invasa di ricordi una qualche valida giustificazione della propria esistenza tra rispetto della letteratura, fede cristiana ed opportunismo durante la dittatura militare? E' il Bolano dell'incessante vagabondare nel deserto messicano oppure lo statico pretino che deve continuamente fare i conti con il "giovane invecchiato" (la propria coscienza) sempre pronto a rinfacciargli ogni comportamento oltre alle squallide serate nella casa-salotto di Maria Canales, simbolo del nulla culturale durante l'era Pinochet e anzi culla di torture ai danni di dissidenti? E' forse l'uomo che si fa ostaggio di due misteriosi personaggi i cui curiosi nomi sono anagrammi di sentimenti quali la paura e l'odio (il signor Aruap e il collega Oido), novelli gatto e volpe cileni di collodiana memoria? Non saprei dare una risposta esaustiva. Certo è che Bolano o ti piace da matti o lo eviti dopo pochi capitoli. Anche in "Notturno cileno" Bolano mi ha accompagnato col suo affabulare magico, permeato (sì questa volta) da rimorso e tristezza, tanto da chiudere il romanzo con una frase che è lo specchio di chi sostituisce l'ironia con la rabbia: "E poi si scatena la tempesta di merda".
Difficile lettura che ha richiesto la dovuta concentrazione sul testo, ma le letture più sofferte sono anche quelle che alla fine danno più soddisfazione, perché spingono a fare maggiore attenzione al nostro sentire per decifrare le emozioni che ci hanno suscitato. Questo libro è stato, per l’appunto, una lettura impegnativa: il rapporto con lo scrittore non si è creato da subito; ci sono volute pazienza e tenacia come quasi in una sfida, ma a mio giudizio ne è valsa la pena. Il protagonista recita un monologo nel suo ultimo scorcio di vita terrena e noi non possiamo non ascoltarlo. Parla davanti ad un interlocutore muto che potremmo essere anche noi e, perciò, non si può andar via senza che quel discorso si sia svolto fino alla fine e aver tentato di capirne le ragioni. Scrittura difficile, dicevamo, e discorso complesso che ritrae un uomo mediocre che ha fatto della mediocrità una strategia di vita. E’ un tipo umano come tanti, un Don Abbondio dei nostri tempi : ”… il coraggio, uno, se non ce l’ha , mica se lo può dare…” (cit. manzoniana). E’ una colpa la mediocrità? Sebastian ha agito secondo natura, non poteva fare altrimenti. Non si può essere eroi senza averne i requisiti. E’ semmai una beffa del destino che tali personaggi si trovino molte volte al centro della Storia e contribuiscano loro malgrado al suo corso. Lo scrittore porta Sebastian alla nostra attenzione quasi chiedendocene un giudizio: è colpevole di reticenza? Non era solo lui a sapere. E allora quante colpe ha più degli altri? Certo le responsabilità sono individuali, ma da soli le guerre non si vincono. Di sicuro non lo approviamo, ma nell’attesa di formulare il capo d’imputazione, concediamo a Bolano di guidarci nel tormento finale di un peccatore che, nell’ora più buia, sta già espiando.
Il Cile è lo sfondo ed il filo rosso che conduce la narrazione sul sentiero dei ricordi del protagonista, dove incontriamo i personaggi che hanno reso il Cile foriera di tante difficoltà ma che, nonostante tutto, l'autore di questo piccolo gioiello non smette di amare e spronare. Un libro breve ma ricco di quelle suggestioni poetiche e magiche che hanno fatto di Bolaño uno scrittore amato e discusso.
Recensioni
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Scritto nel 2000, tre anni prima che Bolaño morisse, immortale per tutti coloro che avranno voglia di perdersi tra queste pagine pungenti. Notturno cileno porta con sé l’odore dell’immortalità, quello che solo i capolavori conservano. Racchiude nelle sue pagine le stagioni della vita. È una confessione che diventa patrimonio dell’umanità.
Protagonista di questo libro è Sebastián Urrutia Lacroix. Un meschino prete cileno con la passione per la letteratura e la critica letteraria. Meschino, dicevamo, perché camaleontico, per nulla scalfito dai cambiamenti sociali e storici che si susseguono in Cile. Bolaño ci mostra il paese sudamericano attraverso gli occhi di questo uomo senza identità, indifferente e titubante di fronte alle scelte che il tempo impone a ogni persona. Racconta con cinismo l’appiattimento del suo paese natale, quel Cile che l’autore ha sempre amato e odiato, da cui si è sempre sentito scacciato e tirato in ballo.
Notturno cileno, quindi, assume i tratti di una confessione. L’estremo tentativo di Urrutia di discolparsi e assolversi prima di morire. Tutto si svolge in pochissime pagine, in un fiume di parole deliranti. Niente capitoli o paragrafi, solo periodi che si intrecciano, neologismi e parole che si susseguono come sassi. In questo libro non ci sono pause, chi vuole leggerlo dovrà mettersi comodo e dosare bene il fiato per non arrivare alla fine sfiancato. Il dramma di Urrutia è in fondo il dramma dell’umanità. È la trasposizione letteraria dell’individuo contemporaneo che si lascia travolgere dagli eventi storici.
Urrutia denuncia a suo modo l’indifferenza ma allo stesso modo partecipa a questo rito. Si distrae dal mondo grazie alla letteratura ma non la usa come un’arma per convertire la società, bensì per appagare il proprio egocentrismo. Così usa anche la religione, strada maestra che dà privilegi, tiepidezza che cuoce lentamente la coscienza fino ad anestetizzarla.
La meschinità del protagonista, infatti, si manifesta nella sua indifferenza, nel suo star fuori dalla storia per non macchiarsi della colpa di scegliere. E sebbene il suo sguardo vada in profondità e le storture vengano messe in risalto, egli non gli dà il giusto peso. Tutto ai suoi occhi è un “accidente”, uno scorrere che nessuno può arrestare e che travolge ogni buona intenzione. Ma ciò che Bolaño mette ancor di più in risalto è il fatto che neanche la morte crea un moto di rivolta in Urrutia. Il suo delirio non mette in croce nessuno, gli serve solo per assolversi tiepidamente, perché in fondo un indifferente non partecipa al compimento del male, non sparge sangue, non preme grilletti.
Ma è davvero così?
Notturno cileno è un libro potente. Bolaño ci ha consegnato un capolavoro che denuncia l’indifferenza. Non va solo letto ma va interpretato e diffuso. Lascia il segno come solo le grandi opere sanno fare. È un’esperienza collettiva come la vita e la morte.
Recensione di Martino Ciano
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