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Pubblicata per la prima volta nel 1925 ( da Piero Gobetti a Torino ), la raccolta "Ossi di seppia" è a buon diritto considerata una pietra miliare della poesia italiana del Novecento. È evidente già da una prima lettura che Eugenio Montale, talentuoso autodidatta, intende svecchiare quella tradizione incentrata prevalentemente sulla retorica e sugli effetti estetizzanti, proponendo pertanto nuovi moduli compositivi. Si consideri a tal proposito la poesia-manifesto "I limoni" che nell' incipit recita : «Ascoltami, i poeti laureati / si muovono soltanto fra le piante / dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. / Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi / fossi ..." In tutta l'opera il riferimento, il confronto antitetico, per certi aspetti parodistico, con l' Alcyone di D'Annunzio è fin troppo chiaro. Infatti il poeta genovese, rifiutando superomismo, vitalismo e panismo, intende piuttosto, attraverso la descrizione fenomenica e la rievocazione emotiva dell'aspro nonché particolarmente familiare paesaggio ligure delle Cinque Terre, estrinsecare ( anche in virtù di tecniche allusive ) tematiche esistenzialiste, relative all'aspetto negativo e angoscioso della vita, affrontandole, talora, persino con distaccata ironia. Mentre osserva, egli esprime di volta in volta stupore, scetticismo, smarrimento, sofferenza. Ad esempio nel pomeriggio estivo immortalato in "Meriggiare pallido e assorto" l'autore alterna, in un rapporto di apparente attrazione-repulsione, elementi incantevoli a numerosi dettagli scabri o comunque poco idillici. Il " male di vivere " ( arginabile con la filosofica "divina Indifferenza") oltreché nell'omonimo componimento è variamente affrontato anche in altri testi, tanto da costituire una sorta di comune denominatore: l'esperienza maturata diventa occasione per analizzare e oggettivare la tragicità della condizione umana e, in senso lato, di tutte le espressioni naturali ; la poesia è lo strumento congeniale per tentare di decodificare e interpretare aspetti che, per la loro complessità intriseca, sono comunque destinati a rimanere inestricabili. Tuttavia, il pessimismo montaliano non è mai banale rassegnazione ma una responsabile presa di coscienza sulla nostra precarietà, frammentarietà, residualità (come sintetizza simbolicamente il titolo dell' intera opera, ripreso da un' espressione di origine dannunziana); l'autore compie una realistica demitizzazione, un'acuta e personale indagine speculativa che prevede la possibilità di scoprire, seppur provvisoriamente, "il filo da disbrogliare" ( v. "I limoni", v.28) oppure l'occasione di imbattersi in epifaniche rivelazioni (ad es. in "Cigola la carrucola del pozzo" ). In altre liriche, poi, egli dà ampio spazio a particolari ed emblematici ricordi legati a persone, vere o immaginarie ( ad es. in "Falsetto" o in "Arsenio" ). Contestualizzando, possiamo cogliere la volontà del poeta di denunciare, con uno stile antieloquente ma sicuramente profondo e stratificato, la crisi psicologica dell'uomo moderno, lo sfaldamento delle certezze e la volontà di non ricorrere a spiegazioni soprannaturali; inoltre, rifuggendo il ruolo di poeta-vate e dichiarando l'incapacità di offrire risposte risolutive ( come ammette in "Non chiederci la parola ..." ), Montale registra, di conseguenza, l'affievolimento del ruolo sociale della poesia stessa.
Prima raccolta poetica di Eugenio Montale, Ossi di Seppia si configura come un manifesto poetico e letterario per l'autore ligure. Qui sono presentate tematiche importanti, poi ampiamente sviluppate nei lavori successivi, ma che bastano, da sole, ad avere un quadro iniziale della poetica montaliana. I componimenti sono di varia lunghezza e struttura, così come varie sono le tematiche affrontate. Vale la pena leggere questo grande capolavoro lirico, vale la pena inebriarsi di poesia e di bellezza oggi, per tenere lontana la minaccia del disincanto.
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