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Anno edizione: 2020
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Con un tocco ironico e surreale, Anna Siccardi mette le relazioni sotto la lente dei desideri e delle passioni, e mostra come la felicità si nasconda nel saper accettare e perdonare le cose della vita, lasciandole finalmente andare.
«Dodici storie, come i dodici passi degli Alcolisti Anonimi: nella Milano di oggi, i protagonisti si incrociano, si perdono, si ritrovano, ognuno alle prese con la sua forma di dipendenza e con il tentativo di trovare una vita di uscita» - Il venerdì
«Personaggi che si perdono e si ritrovano, animati da demoni cui l'autrice, andando oltre lo stretto realismo, restituisce la complessità delle nostre vite, soprattutto nel rapportarsi agli altri» - Cristina Taglietti, La Lettura
In una Milano attuale e senza tempo sette personaggi attraversano le dodici storie di questo libro, affacciandosi ognuno alla vita dell’altro di corsa o in punta di piedi. Il passato li ha traditi in maniera sbadata e casuale, e ora tentano di riparare il giocattolo rotto che è la loro esistenza. I demoni con cui fanno i conti sono alcol, serie tv, droghe, relazioni sbagliate e illusioni. Dipendenze che sono diventate malattia e cura insieme, bolle in cui il tempo si ferma, li consola e li inganna. Come capita a Leo, che si risveglia dopo una nottata alcolica e scopre di dovere dei soldi a un malavitoso giapponese; ad Anna e Chiara, che non possono fare a meno di prendersi cura di un padre assente finito in carcere; e a Irene, che cerca nell’ultima seduta dalla psicologa la soluzione alla sua incapacità di amare. Ispirato ai Dodici Passi degli Alcolisti Anonimi, La parola magica intreccia storie di uomini e donne che si inseguono e si perdono come i personaggi di America oggi. Questo libro è per chi vede i suoi ricordi come un puzzle a cui manca una tessera, per chi preferisce i dialoghi immaginari a quelli reali, per chi crede nel potere magico di certe parole, e per chi cerca una guida per affrontare il buio e lanciarsi nel vuoto, come un trapezista sicuro di trovare una mano ad afferrarlo.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
“Quella sensazione di intimità era la stessa che aveva trovato nell’alcol, nelle sigarette, nei tavor, nel gioco: un torpore, un’inerzia, una tregua da se stessi che si poteva riaccendere a comando. Tutte le compulsioni che aveva sperimentato miravano allo stesso effetto: dimenticarsi di sé” (p.143) Questo libro è composto di dodici capitoli, come sono dodici i passi degli alcolisti anonimi, cui l’autrice si è ispirata. E’ un romanzo, quindi, per racconti. Minibar, pietà, inventario, membrana, aiuto, controluce, stadio, pianeti, buio, addio, sassi, soffio sono i titoli e le parole chiave di ogni vita raccontata. In una Milano contemporanea vivono, s’incrociano e s’influenzano, più o meno consciamente, i sette protagonisti di questo romanzo. Sono storie di uomini e donne che, mancanti di affetto e traditi dal passato o dal presente, sono schiavizzati dalle sostanze (come alcol o stupefacenti), dalla ludopatia o dal semplice amore. Queste dipendenze sono sia malattia sia cura e tutti i protagonisti cercano, più o meno facilmente, di rimettere in carreggiata la loro vita. Troviamo allora Leo che, risvegliandosi dopo una nottata di alcol e droga, scopre di dovere dei soldi a un malavitoso giapponese. “Il mio regno, per un minibar perfetto!” (p.20). Anna e Chiara, dipendenti dall’amore di un padre assente e finito in carcere. “Comunque il suo primo pacco era passato: 4,95 kg. L’amore giusto ha un certo peso, non un grammo di più” (p.37). Irene che cerca, nell'ultima seduta dalla psicologa, la soluzione per il suo alcolismo e per la sua incapacità di amare. “(…) l’alcol è solo dentro di lei, in uno spazio che si è aperto e si è fatto silenziosamente largo, così piano che Irene non saprebbe dire quando né come sia successo. Sa solo che ormai quello spazio c’è e chiede di essere colmato” (p.27). Un impresario di pompe funebri senza nome, invece, è quello che affronta la vita con più grazia ed energia poiché è l’unico che ha a che fare con la morte ogni giorno. “Comunque. Quello che mi piace del mio lavoro è che i congiunti hanno bisogno di te. Tu arrivi ed entri in queste case ovattate, dove i gesti sono più lenti e le voci più sommesse che fuori. Io la chiamo membrana. E’ una consistenza dell’aria, un peso specifico che avvolge tutto” (p.53). E poi ci sono anche personaggi minori come Carlo, Diana, Ornella, Matteo, Marta, Filippo e Edoardo, i piccoli Giacomo e Bea e il misterioso Armen. Tutti i personaggi sono narrati attraverso la terza persona tranne l’impresario di pompe funebri, la cui storia e il cui spessore ho molto amato insieme con quella di Leo (i due personaggi, con Irene, più convincenti), che, invece, parla in prima persona. Quest’opera prima della scrittrice, purtroppo, non mi ha convinto del tutto, anche se ho apprezzato lo slancio di fantasia. Il romanzo è un intreccio di storie parallele: quelle che nel mondo anglosassone sono definite linked stories (termine gentilmente suggeritomi dalla stessa autrice), vale a dire storie con una loro autonomia che però hanno un legame tra loro (cit.). I capitoli, quindi, possono essere presi come singole storie a se stanti: per questo più che un romanzo, categoria al quale è stato ascritto, dovrebbe essere considerato un libro di racconti. Probabilmente, questo confonde un po’ il lettore ed io, tra l’altro, non amo particolarmente il genere. La scrittura, leggibile e scorrevole, ha uno stile semplice e diretto, indulgendo forse troppo, secondo me, in frasi stereotipate. Se, comunque, il romanzo mi sembra avere qualche slancio lirico, pare essere, invece, per la maggior parte, privo di pathos: inteso come quel sentimento viscerale che lo scrittore mette all’interno della sua opera e che traspare tra le righe mentre si legge, facendo sì che il lettore possa provare empatia con i personaggi che si susseguono. “Nasciamo attaccati a un cordone e moriamo attaccati ad una flebo. Tutto qui? Questo pensiero gli diede conforto, perché la vita in mezzo gli parve improvvisamente facile da capire, era solo un librarsi da un sostegno all’altro, come trapezisti nel buio, staccando le mani solo per un soffio” (p.184).
Sette i personaggi principali che si intrecciano pagina dopo pagina, racconto dopo racconto, riportando a galla i "mostri" che li stanno affondando. Una narrazione fluida, a tratti particolare, che richiede qualche attimo in più per essere compresa e fatta propria, in particolare quando si analizza il personaggio di Irene. Una donna che convive con la sua dipendenza dall'alcol e da una relazione che sta volgendo al capolinea con il marito Riccardo. Due persone sempre più distanti, allontanate da tradimenti e vortici che risucchiano i sentimenti, l'animo umano e non lasciano scampo. Vite al limite, ridotte al lumicino dalle dipendenze, dalle paure e dalle insicurezze, quelle più maligne, che distruggono fino al midollo. Così conosciamo Leo, che dopo una notte di follie a Tokyo si trova in debito con un malavitoso, che cerca soldi che lui non possiede, volendoli a qualunque costo. E allora Leo si salva grazie a un fortissimo terremoto, che scombina le carte in tavola, cambia le priorità personali, ma non attenua la voglia di sentirsi liberi e potenti. Anna grazie ai suoi personaggi porta alla luce, senza freni, le difficoltà quotidiane, i tantissimi tunnel che inglobano le persone fragili, mostrando nuove possibilità o vie di uscita, che invece di rendere liberi, rende schiavi. Allora con la sua scrittura leggera, a volte ironica, altra intrisa di tristezza, l'autrice intreccia destini, vite e persone: chi si conosce da anni e prova a ritrovarsi e chi si passa di fianco per pochi secondi senza nulla di più. Un consiglio di lettura che si può affrontare d'un fiato o un racconto al giorno, esattamente come ho fatto io, per immergersi nella quotidianità, vedere le persone con occhi diversi, ma non per giudicarle, quanto piuttosto per comprendere come la vita possa essere subdola appena fiuta debolezze, come la felicità possa essere un miraggio finché non si comprende cosa realmente la causi, accettando rifiuti e allontanamenti. Un punto che non è per forza una fine, quanto una svolta. Un nuovo inizio.
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