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Romanzo sorprendente, ironico e autoironico, quasi cinico. Viene da chiedersi come abbiano reagito i discendenti e gli amici dei Ciabatti, ma forse davvero si sono estinti tutti ed è rimasta solo Teresa. Scrittura fluida. Sicuramente leggerò altro di questa autrice per scoprire se oltre all'autobiografismo c'è di più.
La più amata è il racconto sentito e accorato che Teresa Ciabatti offre al lettore alla ricerca dell’identità del proprio padre, Lorenzo Ciabatti, chiamato da tutti Il Professore. La narrazione non si risparmia, diventa nella sua evoluzione ossessiva, esagerata, spasmodica, ma per tutti questi motivi anche vera. Senza finzioni. Teresa si racconta senza filtri e ci parla delle sue pretese, ma anche del rapporto familiare, sia con la madre – che sembra si sia annullata dopo aver incontrato Il Professore – sia con il padre. Quest’ansia spasmodica nella ricerca dell’identità e dei rapporti segreti (oltre che dei conti bancari fittizi) di Ciabatti padre diventerà la domanda ricorrente anche di Francesca Fabiani, moglie devota, moglie gentile, moglie riconoscente: "Voglio sapere chi è mio marito: nato a Grosseto il 4 agosto 1928, primario dell’ospedale di Orbetello, residente in via dei Mille 37, voglio sapere chi è davvero Lorenzo Ciabatti, chiede Francesca Fabiani a Tom Ponzi. Un milione di lire anticipato. Gli altri alla fine". Alla fine della lettura ne esce un ritratto tutto italiano di una famiglia, con tutti i suoi difetti, le sue ipocondrie, le sue fragilità raccontata con uno stile unico, vivo, e anche – perché non si può non dirlo – infinitamente pieno di sé: "Chi è migliore? Colui che sopravvive al dolore, e io lo sono, io sono qui, sopravvissuta al buio del passato (era così buio?), al gorgo di un’infanzia infelice (ma poi: era così infelice? Sii onesta, Teresa Ciabatti…). Io sono una sopravvissuta, e voi no".
Non capisco il clamore e la curiosità nati intorno a questo libro? Sembra che la parola autobiografia scateni il voyeurismo al punto da spingere in libreria anche in chi in genere non legge nemmeno un libro l'anno. A parte lo stile di scrittura (scialbo, se la cava meglio con gli articoli che pubblica sul Corriere), è proprio la storia che non funziona: sembra una seduta psicanalitica di un paziente frustrato che guarda il suo ombelico e non fa che ripetere che lui è così per colpa dei suoi genitori, mentre l'analista, non visto, alza gli occhi al cielo o peggio ancora sonnecchia. Perché la Ciabatti (e il suo editore) pensa che alla gente possa interessare la sua storia? O quella di suo padre, al punto da farci un libro? Non capisco poi se il fatto di essersi messa così a nudo (e il più delle volte essersi resa ridicola) sia frutto di onestà e coraggio o piuttosto di totale mancanza di consapevolezza e percezione di sé. I personaggi sono tutti odiosi: nella prima parte il padre, nella seconda l'autrice, nella terza la madre e qua e là il fratello, nelle sue brevi e inutili comparse. Insomma, io spero che almeno alla Ciabatti questo libro sia servito per capire chi è e perché è così da adulta (almeno questo era il motivo per cui lo ha scritto, come lei stessa spiega all'interno), ma sopratutto per diventare adulta (cresci, Teresa, cresci!), perché ancora troppo forte è la voce di quella che è stata una bambina vanitosa e capricciosa e un'adolescente rabbiosa e complessata. A me lettrice è servito solo a farmi annoiare molto. Il mio istinto mi aveva tenuto finora lontano da questo libro, ma alla fine l'ho letto per farmi un'idea mia, oltre le critiche e i plausi degli altri. Se poi il vostro istinto vi dice di non leggerlo proprio, ascoltatelo.
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