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“E come non sognare?…Cos’altro offriva ai giovani il mondo di quegli anni?…Non c’era lavoro, non c’erano ambizioni, ancorché modeste, realizzabili, tutto era immobile. Restava solo questo… La crudele e fredda passione di far carriera, camuffata con ogni sorta di nomi e di etichette ideologiche.” (p.32) Dopo un tradimento in amore Jean Louc, protagonista del libro, decide che la sola cosa importante sia il denaro, il potere ed il successo. Come fare? Sposare l’unica donna che ora odia, Edith Sarlat (“tutta vanità e interesse, nient’altro” p.155), quella che poco tempo prima l’ha tradito ma che può essere il suo “ascensore sociale”. Spietato, crudele e cinico pensava: “<<Non mi importa niente di Edith>>. La felicità di sua moglie, il suo piacere, la sua vita stessa gli erano indifferenti. Il mondo era così ricco di cose piacevoli che non si poteva pensare agli altri; bisognava pensare solo a se stessi, altrimenti si era sconfitti in anticipo.” (p.95). E ancora: “Edith viveva al suo fianco, nella sua casa, e non occupava la sua mente più di un mobile.” (p.152). Ma veramente il denaro e la posizione sociale erano le uniche sue ambizioni? “Quella carriera che aveva portato avanti con tanta dedizione, e a cui aveva sacrificato tutto, all’improvviso gli pareva scialba e triste (…)” (p.185). Capirà troppo tardi che scelte prese in gioventù furono sbagliate e irreparabili, sia per la sua che per la vita di chi lo circondava. Aveva lasciato indietro l’unica cosa che conta nella vita, l’amore: “Quando si è molto giovani, è facile soffocare l’amore.” (p.177). “E’ buffo. Solo adesso soffro per ciò che mi è mancato per tutta la vita” e ancora “In quelle notti soffocanti Jean Luc piangeva non solo perché aveva perso Marie, ma perché era vissuto senza amore (…)” (p.178). Imprigionato nella sua personalità… sarà mica lui la preda… di se stesso?!?! Irene Nemirowsky una scrittrice che, come pochi, sa tinteggiare tutte le sfumature dell’animo umano.
Jean-Luc che cattura nella sua rete più di una preda per raggiungere il suo obiettivo e sacrificare la sua giovinezza, ritrovarsi a trent’anni già vecchio e con il cuore arido. All’inizio ho pensato a una copia leggermente modificata di David Golder: sebbene l’ambientazione sia diversa, il protagonista si trova in circoli simili, circondato da persone che non provano nulla, ma creano legami solo per poterli sfruttare a tempo debito. Conoscendo più a fondo Jean-Luc ho poi capito che non è solo l’obiettivo a renderli diversi – per l’uno è il denaro, per l’altro il successo – ma anche ciò che hanno nel cuore. Anche se in modo quasi impercettibile, Golder appare agli occhi del lettore più umano di Jean-Luc. Ho inizialmente provato odio per quest’ultimo, proprio per il suo essere cinico, infine pietà perché, proprio chi per anni ha cercato una preda, è rimasto intrappolato nella sua stessa rete. Una mossa falsa e ci si trova in balia della propria ossessione, di ciò che è mancato per tutta una vita, della solitudine e di un amore irrazionale scoppiato improvvisamente. Irène Némirovsky non poteva, di certo, scegliere un titolo più appropriato: non si è mai tanto preda di qualcuno, fino a quando non lo si è di se stessi. “Passi la vita a combattere, affannato, disperato. A un certo punto pensi di aver vinto, ma invece le umiliazioni, gli insuccessi, le delusioni, i disastri, si sono sedimentati dentro di te, aspettano il momento giusto, e un bel giorno vengono a galla tutti insieme e ti soffocano, come se la debolezza del bambino che ri stessi in agguato nel cuore dell’uomo, pronta a sconfiggerlo, pronta ad annientarlo.” Lo stile è incisivo e secco quanto basta, descrive, come sempre, la società parigina dell’epoca mettendo a nudo tutti i difetti, le ipocrisie e i complotti. E in particolare questa volta Irène mostra la vera debolezza di quegli uomini politici: il voler cercare l’ammirazione sempre e comunque, dimostrare la loro potenza.
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