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Anno edizione: 1985
Anno edizione: 2019
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Le spirali del disumano ormai aperte e incontrollate, la tecnica come unico sole da adorare anche davanti al viaggio finale, la morte. Aladino ha un potere enorme, esaudisce tutto. Ma deve anche interrogarsi su ciò che gli viene chiesto, è necessario che lo faccio, indispensabile. Come agire allora davanti all'ingorda cecità di ogni desiderio, a volontà totalizzanti di profitto, di gelido annientamento di ogni particella interiore? Un racconto amaro e perfetto, lucido e intensamente poetico, un progetto di necropoli planetaria a regola d'arte, l'ordine raggiunto anche in quel senso, voracemente assolto dalla più grande ditta del mondo. E un uomo al centro del racconto che tocca pian piano la verità del suo essere ormai assorbita in quello schema, deviata, uccisa. Una volontà di potenza che incastra ogni possibilità di fuga, che stringe e stritola tutto: "Il mestiere mi prendeva, ero pressappoco un mimo che deve ogni sera recitare la sua parte nel dramma; da principio lo fa con passione, poi l'abitudine impregna il linguaggio, la gestualità e la mimica. La maschera si fissa". Un io dunque lentamente inghiottito nel mare del potere, una lotta fra una coscienza che sente la propria verità urlargli nell'animo e i bastioni del fare frustarlo di continuo a fare e a fare di più. Sfogandosi un giorno dirà: "Ciò che sul piano cosmico è la marea per l'uomo è la poesia; una risposta a grandi lontananze". La terra come dea dell'errore dunque, Dioniso festante e vorticoso che impera tra le masse e le dirige, la luce dell'effimero ormai dominante. Inevitabile la caduta, un nichilismo senza indugi dove chi avverte una diversità non può che arrivare a dirsi, soffertamente: "I manicomi sono i conventi del nostro mondo". Voler scoprire, sapere, spiegare a tutti i costi, un sogno immane nel destino e nel convincimento di teorici della perfezione, mentre è vero che "è nell'inabitabilità delle stelle che si rivela la profondità del desiderio". Junger impeccabile, sempre prezioso.
Recensioni
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(scheda pubblicata per l'edizione del 1985)
scheda di Bardi, M., L'Indice 1986, n. 1
Un romanzo scritto in prima persona, in cui il protagonista, discendente da un'antica famiglia aristocratica militare, si propone di raccontare, con occhio da scienziato, la propria storia: al servizio dell'esercito popolare polacco, come durante il successivo adattamento al mondo occidentale, è evidente il suo sforzo di tener desta la coscienza della propria individualità e d'interpretare ogni evento alla luce di un pessimismo lucido e insieme provocatorio. Per sua esplicita dichiarazione, egli soffre di "un'esagerata obiettività" che lo conduce a una visione disincantata della storia, della vita sociale e dei rapporti interpersonali propria dello "sguardo stereoscopico" e del "realismo eroico" j(ngeriano. Alla ricostruzione del passato concorrono i ricordi familiari, non meno che le influenze letterarie e filosofiche (Schopenhauer e Nietzsche, soprannominato affettuosamente "Testa Matta"), cosicché l'intero racconto finisce per costituire una distaccata critica della modernità e della spersonalizzazione che dell'aristocraticismo prussiano dell'autore reca, per intero, le tracce. Nella realizzazione di un enorme cimitero nel cuore dell'Anatolia s'intreccia ai motivi economici l'oscura ansia dell'umanità di sottrarre almeno l'evento della morte alla logica del consumismo, che rimuove ciò che si oppone al suo ritmo progressivo. Sulla fredda praticità sembra alla fine avere la meglio l'oscuro fondo visionario dell'autore: sogno e follia annunciano infatti un incontro straordinario. Cosi resta aperto "il problema di Aladino"- che è il problema del conseguimento del potere e della faticosa ricerca di un'identità - perché' come dice l'autore, "un resoconto che si definisce problema non deve offrire soluzioni".
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