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Anno edizione: 2023
Anno edizione: 2003
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Un libro che dice molto di più di quanto la storia, basata su un evento di cronaca, racconta. Sciascia parla dei pugnalatori per parlare di una certa idea di giustizia e delle sue storture. "Il mondo andava com'era sempre andato: una sentenza di morte per il guardiapiazza, l'indoratore e il fornaio, mentre il principe di Sant'Elia entrava nella cappella palatina di Palermo, in compagnia di Vittorio Emanuele II, re d'Italia", dice Sciascia a un certo punto del romanzo. Da leggere!
Il 1° ottobre 1862 la città di Palermo è funestata da una terribile azione criminale; infatti, alla stessa ora, e in luoghi diversi tredici persone, in nessuna relazione fra loro, vengono pugnalate da sconosciuti. A investigare sul grave fatto di sangue, che appare subito come il frutto di una sordida macchinazione, è il procuratore Guido Giacosa, piemontese e da poco dimorante in Sicilia. Riuscirà, con non poche difficoltà, a scoprire i colpevoli e anche i mandanti, ma questi ultimi sono personaggi di elevato livello e il povero magistrato ne uscirà distrutto. Da un fatto veramente accaduto, Leonardo Sciascia costruisce qualche cosa di più di un romanzo storico, ma un’indagine nell’indagine, una serrata e logica dissezione del potere che, nelle sue faide, richiama comportamenti che saranno motivo di lutti più di un secolo dopo. E’ veramente rilevante la lucidità con la quale lo scrittore siciliano descrive l’atmosfera dell’epoca, di una Sicilia da poco parte del Regno d’Italia, con i nobili locali che proseguono nel loro assurdo gioco di abbracciare la causa del nuovo governante, per poi immancabilmente chiedere il ritorno del precedente, tutti tesi a speculare vantaggi spesso risibili. In un complotto di grande portata solo l’opera di Giacosa, onesto e ligio funzionario di giustizia, riesce a impedirne la prosecuzione, volta a creare destabilizzazione, sfiducia, paura nei cittadini per stragi inspiegabili che purtroppo ricorrono nella storia del nostro paese. Gli indizi, le prove sono tali da consentire la condanna degli esecutori e dei mandanti, ma nelle mani del boia finiranno solo quei pugnalatori che per una modesta somma hanno sparso il terrore in città. La testa del serpente, nobili ed ecclesiastici, non viene nemmeno scalfita, nella logica aberrante che i poteri e i contropoteri sono composti da individui della stessa pasta, una specie di confraternita che gioca a una guerra le cui vittime sono solo i cittadini. I pugnalatori è indubbiamente un’opera minore, ma il pensiero di Sciascia la permea dalla prima all’ultima riga. E infatti il romanzo termina con una frase che abbiamo già sentito troppe volte: Ad un certo punto del suo intervento sull’interpellanza La Porta, Francesco Crispi aveva detto:- Penso che il mistero continuerà e che giammai conosceremo le cose come veramente sono avvenute. Sciascia laconicamente aggiunge: Si preparava così a governare l’Italia. La lettura è più che consigliata.
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