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La scrittura o la vita - Jorge Semprún - copertina
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La scrittura o la vita
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La scrittura o la vita - Jorge Semprún - copertina
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Descrizione


«Nel 1947 avevo abbandonato il progetto di scrivere. Ero diventato un altro per rimanere in vita.»

Reduce da Buchenwald e desideroso di fissare sulla pagina la sua tragica esperienza, Jorge Semprún, allora giovane intellettuale, si trova di fronte a un dilemma: raccontare la morte vissuta (sì, perché nel lager la morte si viveva) o aprirsi alla vita del «dopo», dimenticare la penna (che alla morte riconduce), concedersi a un'esistenza fatta di impegno politico, di amore, ma anche di quotidiana banalità. «La scrittura o la vita» è la storia di questo dilemma e al tempo stesso il suo scioglimento: dopo vari libri che affrontavano in qualche modo il tema dell'universo concentrazionario, Semprún è riuscito a darci una completa, sconvolgente testimonianza sulla realtà del lager. Ed è a Primo Levi (cui lo scrittore spagnolo dedica un capitolo della sua opera) che il ricordo del lettore italiano potrà riferirsi; poiché, nonostante le molte differenze nell'esperienza vissuta (Semprún fu infatti deportato come resistente francese, come «politico») e nell'elaborazione letteraria dell'esperienza stessa, un tema echeggia anche in queste pagine: come sarà possibile far credere agli «altri» che un tale scempio sia stato commesso?

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Dettagli

2020
30 gennaio 2020
304 p., Brossura
9788823523005

Valutazioni e recensioni

ENRICO TAVANI
Recensioni: 5/5

Semprun e' stato un grande intellettuale del secolo scorso, per anni militante comunista poi espulso (consenziente…..) dal partito di allora (versione filostalinista ispanico-francese e non certo come quello nostrano…...) ed infine politico impegnato nella spagna di sanchez come ministro della cultura. Nel suo passato del periodo bellico, la resistenza francese,la cattura e l'internamento a Buchenwald per quasi due anni. Alla fine della guerra, per lui come per molti altri con la stessa esperienza, il dramma psicologico di come uscire da quello che era successo e di cui erano stati testimoni : l'oblio totale, quasi impossibile; il ricordo e il desiderio di raccontare quanto piu' possibile affinche' tutti potessero sapere quanto era successo; il silenzio assordante per l'incapacita' di esprimere a parole l'inesprimibile e/o il dubbio costante di non poter essere creduti ; il perenne senso di colpa per "essere sopravvissuti"….... Ovviamente immediato il parallelismo con la vicenda di Primo Levi, del quale per altro l'autore si professa subito grandissimo estimatore (gli fu fatto conoscere negli anni sessanta da Rossana Rossanda a Milano...) ricordandoci anche il vero shock provocatogli dalla notizia del suo suicidio nel 1987. Le storie dei due scrittori sono in realta' state profondamente differenti : Levi ad Auschwitz,ebreo in un campo di sterminio di ebrei,salvatosi solo per le sue competenze in chimica che gli consentirono di essere utilizzato in lavori qualificati ed utili. Semprun, militante comunista,internato in un campo di lavoro dove pure regnava la morte causata, diversamente dal campo polacco,soprattutto dai disumani turni di lavoro, dalla scarsissima igiene , dalla mancanza di adeguata alimentazione; per il resto le condizioni ,secondo quanto ci viene detto dallo stesso autore, apparivano decisamente miglioricon maggiori possibilita' di comunicazione interpersonale e di socializzazione. Profondamente differente e' stata anche la psicologia dei due scrittori e la modalita' di affrontare la sofferenza del ricordo : Levi, da bravo scienziato, ha desiderato subito comunicare quanto piu' possibile,con la precisione e la meticolosita' di un naturalista, affinche' quanto piu' possibile fosse portato alla luce,per i contemporanei e a memoria futura. Tutto questo non e' ovviamente servito a cancellare in lui il senso di colpa dell'essere ancora vivo, comepurtroppo ha dimostrato la sua fine….......Diversamente, Semprun per molto tempo ha tentato di rimuovere,di non ricordare; del suo soggiorno a Buchenwald non ha parlato per anni e,soprattutto, ha sempre voluto evitare di scriverne perche' la forza della scrittura gli avrebbe fatto vivere di nuovo quel senso,quella percezione,quella sorta di convivenza con la morte che gli provocava un dolore insopportabile. Alla fine, quasi 40 anni dopo i fatti e forse grazie anche alla conoscenza dei lavori di Levi, riesce a mettere per iscritto gran parte del sua esperienza…....la prosa e' bella, ricca di citazioni colte, spesso piuttosto autoreferenziale ( comprensibile) ma, a mio modesto parere (ma sono di parte…) manca della forza evocatrice della prosa asciutta,essenziale,tremendamente efficace,di Levi. Comunque gran bel testo,assolutamente da leggere.

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