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Anno edizione: 2013
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Di “Le donne e la narrativa” non so bene cosa dire: un saggio brillante? Forse; c’è dentro molto lavoro, molte opinioni condensate in una specie di gelatina che ho cercato di tingere di rosso il più possibile. [Diario di una scrittrice, Virginia Woolf] Così Virginia Woolf parlava di “Una stanza tutta per sé” il 12 maggio 1929, mentre preparava la stesura definitiva del suo saggio in modo da farlo leggere a Leonard, prima di essere pubblicato, come di consuetudine. La Woolf, così facendo, è la prima a parlare di una storia della letteratura femminile. Dall’immaginaria sorella di Shakespeare, ad Aphra Behn, da Jane Austen a Charlotte Brontë, “Una stanza tutta per sé” esplora le difficoltà, i sacrifici, che le donne hanno dovuto fare per scrivere, un’operazione tanto comune per gli uomini.
Un saggio molto interessante sull'evoluzione della donna scrittrice, sulle difficoltà che queste hanno dovuto fronteggiare per potersi esprimere, per essere considerate degnamente ed apprezzate per il loro lavoro. Penso che sia un libro educativo, che andrebbe fatto leggere alle superiori o letto almeno una volta nella vita. Per fortuna Virginia Woolf non può assistere alla decadenza attuale di scrittrici come quella della trilogia di "50 sfumature".
In questo saggio Virginia Woolf si avvale della finzione narrativa per affrontare con ironia, ma senza mancare di profondità, il tema del rapporto tra le donne e la letteratura nel corso dei secoli. Secondo l’autrice alcune delle motivazioni che impedivano alle donne di dedicarsi alla letteratura erano di natura materiale: la mancanza di un reddito che garantisse loro indipendenza economica, un luogo appartato, “una stanza tutta per sé” (da qui il titolo del saggio) in cui dedicarsi completamente alla creazione artistica e l’impossibilità di accedere a molti luoghi (tra cui le biblioteche). A ciò vanno sommati i pregiudizi e le vessazioni da sempre subite. Ciò che mi è piaciuto di questo saggio è che la Woolf offre un’analisi lucida e non di parte. Il suo non è un attacco senza esclusione di colpi contro un presunto “sesso cattivo” (cioè gli uomini), non scade mai nell’invettiva sterile, piuttosto attraverso l’esempio di Charlotte Brönte, ci fa capire come alcune grandi scrittrici del passato, nel tentativo di ribellarsi, anche se ancor timidamente, a quei valori dominanti in una società di tipo patriarcale, si trovassero a cedere a rancorose rivendicazioni che andavano a sminuire la grandezza artistica delle loro produzioni. Nel caso di Charlotte Brönte la Woolf afferma come in “Jane Eyre” l’autrice si perde in divagazioni sul tema della libertà della donna interrompendo in modo brusco il filo narrativo e andando a discapito dei personaggi. Invece Jane Austen (per la Woolf meno talentuosa di Charlotte) ed Emily Brönte costituiscono delle mirabili eccezioni, e la loro grandezza sta proprio nell’essere riuscite a evitare di restare vittime della loro stessa rabbia.La scrittura di Virginia Woolf, se non si considerano alcuni elementi che per forza di cose appartengono al suo tempo, è assolutamente moderna e le sue intuizioni lungimiranti. Tolto il sipario tipico di inizio XX secolo, eccola che appare con guizzi formidabili, con pensieri che ci parlano come se fossero stati espressi oggi. Quando ci illustra la sua stanza, porta con sé una ventata di modernità, soprattutto quando parla dei due sessi fino a trasformarli in uno solo: l’intelletto androgino. Perché quando l’intelletto è grande, non conosce differenze.
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