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«D’ora in poi non saremo più di questa terra, mendace, condominiale, illogica, giovanilista».
«Un mirabile esempio di pastiche come già altri romanzi dello scrittore emiliano, da "Vite brevi di idioti" a "Gli eremiti del deserto".» – Alberto Riva, il Venerdì - la Repubblica
Una pazzoide storia d’amore e di gelosia che cresce via via, mentre il giovane studioso innamorato prende appunti per un trattato sui giganti dei poemi cavallereschi, i loro usi, costumi e la loro sgonfia attività sessuale, che li ha portati a degenerare e all’estinzione. Intanto degenera anche la gelosia: lo studioso spera che gli extraterrestri rapiscano chiunque abbia avuto contatti carnali con la sua bella e troppo emancipata signorina. Forse più che una speranza è una truffa, che lui nella sua passione ossessiva subisce. Il romanzo, rispetto alla prima edizione del 2007, è stato abbondantemente revisionato e riscritto dall’autore, con capitoli nuovi aggiunti.
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Di Ermanno Cavazzoni sapevo poche cose: che esisteva, e che scriveva libri. Ho provato a prendere questo suo libro di alcuni anni fa e a posteriori devo dire che ho fatto davvero bene. Lo stile di Cavazzoni, visto molto da lontano, mi potrebbe far pensare a Paolo Nori: ma mentre quest'ultimo non è proprio nelle mie corde, il primo mi ha fatto sorridere con le sue descrizioni stralunate. (ATTENZIONE: SPOILER!). La storia naturale dei giganti (nella letteratura cavalleresca) c'è eccome, con una dovizia di particolari che mi fa pensare a una via di mezzo tra una persona affetta dalla sindrome di Asperger e la storia confidenziale della letteratura italiana del buonanima di Giampaolo Dossena; ma con lo scorrere delle pagine si capisce che l'io narrante è completamente pazzo, tratto del resto comune a tutta la sua famiglia a quanto pare, e la sua mente vaga verso le idee più assurde... abbastanza simili a quelle che associa ai "suoi" giganti, anche se avrei dei dubbi sulla verginità di Monica Guastavillani, la sua Beatrice che non si capisce bene cosa (non) faccia con lui. L'arrivo di sedicenti extraterrestri fa terminare piuttosto brutalmente la vicenda, anche se quella che pareva una crisi definitiva si stempera in un ritorno al punto iniziale del romanzo. In definitiva, il libro va bene se volete sapere tutto sui giganti, ma anche se vi divertono le storie strampalate ma ben scritte!
Il gioco portato avanti in questo strano romanzo è proprio l'abolizione progressiva di ogni rigida distinzione tra verità e fantasia, desiderio e ragione: è in questa terra di mezzo, dove giganti, paladini e odiosi conoscenti che insidiano la sua Monica si confondono tra loro, che la prosa di Cavazzoni trova i suoi effetti più esilaranti, sia pure tallonati quasi sempre da un retrogusto più serio e amarognolo, che adombra solitudine, spaesamento psicologico e un'identità alquanto labile. Un gioco letterario, insomma, dove l'autore pare riecheggiare da lontano l'idea già di Cervantes nel "Don Chisciotte", che troppa letteratura può condurre a una sorta di follia, seppure innocua e, paradossalmente, salvifica. O è proprio quel divino spaesamento, che trasfigura la realtà stessa in una specie di cortocircuito, che per Cavazzoni rappresenta la condizione irrinunciabile di chi fa letteratura oggi? Il libro è interessante, e spesso divertente, ma è proprio quello che non dice e lascia solo immaginare a colpire di più.
Mi piacerebbe assistere alle lezioni dell'autore, ma non abito a Bologna, ahimé! Me li avessero insegnati così, quei noiosissimi poemi cavallereschi, che tanto noiosi poi non sono, se si leggono con l'occhio giusto. Quello di Ermanno Cavazzoni è giustissimo e la sua saga della specie gigantesca è meravigliosa, fa ridere molto anche. Ero molto avida della storia d'amore con Monica Guastavillani. Se poi, di mezzo, arrivano gli alieni del prof. Fresco Fico, tutto torna, o storna, che è lo stesso. Bellissimo!
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