Ho scelto questo romanzo preparandomi a un imminente viaggio in Norvegia e quindi a tuffarmi in un mondo diverso, nordico, lontano. Mi ha stupito, invece, il senso di vicinanza e familiarità che ho provato subito nei confronti del protagonista e del suo punto di vista. Una vita normale, modesta, di insegnante frustrato, di marito rassegnato, improvvisamente si spezza e assume una luce tragica in seguito a un episodio banale e quasi comico. Quanti insegnanti conoscono il disagio di non riuscire a vincere l’indifferenza dei loro allievi! Un giorno Elias Rukla, professore di liceo a Oslo, si abbandona davanti agli studenti a una crisi di rabbia tale da pregiudicarne, ai suoi stessi occhi, il ruolo di educatore. Da quel momento, il protagonista vaga per la città mentre si snoda il film dei ricordi, dagli anni giovanili pieni di entusiasmo e di utopie rivoluzionarie, alle successive delusioni sul piano personale e sociale, fino all’attuale senso di estraneità e disadattamento. Il racconto è in terza persona, ma ci porta nella mente di Elias, imitandone le ossessioni anche nello stile iterativo, che si avvolge su se stesso senza divisione in capitoli. Emerge il quadro di una società individualista e triste, dove non c’è posto per gli ideali, ma il benessere e la sicurezza non sono scontati.
Timidezza e dignità
Che cosa porta Elias Rukla, dopo venticinque anni di onorato servizio, alla grottesca crisi di nervi che gli fa ritenere conclusa la carriera d'insegnante e definitivamente compromessa la sua reputazione sociale? Mattina d'autunno, doppia ora di letteratura norvegese di fronte a una sonnolenta classe di maturandi, lezione su Ibsen: il professor Rukla si infervora parlando di un enigmatico personaggio de L'anitra selvatica ma i ragazzi non riescono a seguirne le evoluzioni e sono indignati dalla sua incapacità di trasmettere il valore di Ibsen in modo comprensibile. Dalla violenta crisi di quel giorno parte, nella coscienza di Rukla, una resa dei conti che gli fa ripercorrere gli eventi fondamentali della sua vita: dai tempi studenteschi - creativi, liberi, pieni di curiosità intellettuale nella Oslo degli anni Sessanta - alla fondamentale amicizia con il filosofo Johan Corneliussen e con la sua compagna, la bellissima Eva Linde; fino alla necessità di trovare un posto in questa società, al lavoro, al matrimonio e alla gabbia mentale che lo convince dell'impossibilità di una qualsiasi svolta. Con il suo ritmo basato su incisi, apposizioni e iterazioni, la prosa di Solstad insegue il suo oggetto attraverso un personaggio su cui sono proiettati aspetti autobiografici e generazionali. L'esibita "norvegesità" dell'autore e la sua passione topografica non impediscono al racconto locale di aprirsi all'esperienza condivisa da milioni di "ex-giovani" nel mondo occidentale.
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Anno edizione:2011
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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MARIO D'ANDREA 09 aprile 2011
Siamo stati letteralmente invasi da scrittori nordici focalizzati su gialli e thriller, dopo il successo commerciale di un paio di opere (Millennium etc.). Nella quasi totalità vere e prorpie "bufale", brillanti operazioni di marketing dal contenuto letteraio praticamente nullo (unica eccezione H. Mankell). Ed ecco, finalmente, una vera e propria scoperta (almeno per me): Dag Solstad, norvegese, che in questo romanzo molto bello, intenso e profondo (Timidezza e dignità) ci propone una analisi delle delusioni di una vita, quella del protagonista - l'insegnate Elias Rukla - che, partendo da una crisi di nervi per la scarsa attenzione dei suoi studenti, distrugge un ombrello (bella e pertinente anche la copertina) e, da quell'atto liberatorio, inizia un percorso di introspezione chiedendosi dove ha sbagliato e perchè la sua vita non lo soddisfa. Alternando filosofia (Kant e Wittgestein), letteratura (Ibsen e Kundera), politica (Marx) e vita privata il romanzo propone una spietata interpretazione del frantumarsi dei sogni e delle illusioni di una intera generazione. Da non perdere!