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Il film manifesto di Terrence Malick si distingue per la grande purezza d'immagine e il bisogno di mettere sul piatto concetti di per sè semplici e universali, in una sinfonia di luci e bisbigli che dalle origini del mondo si spinge oltre la vita e la morte, pittura meravigliosa di un creato che non cessa mai di stupire e che si rifiuta di dichiararsi sconfitto, forte della grazia di un Dio eletto a unico artefice del grande spettacolo di cui tutti noi facciamo parte; a rendere difficilmente fruibile quello che avrebbe dovuto essere un viaggio senza eguali è la grammatica ostica e chiusa scelta dal regista e il suo totale disinteresse per lo spettatore, così lontano dagli equilibri di The New World e La sottile linea rossa. I tasselli del puzzle pur visibili in tutto il loro incanto sono disseminati nel minutaggio senza che sia interesse a incastrarli organicamente, privi di un nodo narrativo solido che respiri senza difficoltà nella poetica di Malick: un albero affascinante ma privo di tronco, piantato su un terreno troppo malleabile e franoso per non abbattersi al primo fruscio.
Malick con questo film dimostra tutto il suo talento attraverso un linguaggio unico che lo contraddistingue nel panorama cinematografico mondiale e (sicuramente) in quello americano. La macchina da presa si muove vorticosamente, segue i protagonisti girando intorno a loro. È essa stessa a scandire i tempi della sceneggiatura. Attraverso una serie di immagini suggestive Malick ricompone la storia dell`uomo consentendo lo spettatore di riappropriarsi degli elementi intrinsechi della vita meravigliosa e armoniosa come è sempre stata. Palma d`oro a Cannes
Con una trama volutamente scarna e resa per immagini più che per dialoghi, questo film rasenta il tono patetico di una pubblicità. Assolutamente da vedere, a mio parere, al fine di poter avere un'idea in merito. Vi è una ridondantee quanto arrogante idea malespressa di una cosmologia in perpetui divenire ed evoluzione che collega il macrocosmo dell'incedere storico ed astronomico al microcosmo di una famiglia patriarcale. Gli occhi di Sean Penn, protagonista adulto, si alternano alla visione dei ricordi infantili, con immagini di una meravigliosa Jessica Chastain impersonificante la Grazia ed un incredibile Brad Pitt simboleggiante la Natura, forza bruta ed annichilente per perpetuarsi. Questi ricordi sono tutti -nessuno escluso- deviati da un'ottica maligna, disillusa e furiosa che non può essere quella di un bambino quanto quella di un regista alquanto presuntuoso. Visivamente perfetto e gradevole, concettualmente indegno ed investito a posteriori di un significato che invece non traspare.
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