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Anno edizione: 2013
Anno edizione: 2011
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Karl Donitz, già comandante di sommergibile nel corso della Grande Guerra, ritenne, non a torto, che il metodo applicato in quel conflitto per ridurre i rifornimenti alla Gran Bretagna potesse essere usato con maggior successo nella seconda guerra mondiale, ricorrendo ad attacchi di massa in superficie. In effetti gli eventi, più o meno fino alla fine del 1942, sembrarono dargli ragione con un’entità di affondamenti considerevole, contro perdite tutto sommato contenute. Tuttavia, gli affinamenti dei sistemi che gli alleati utilizzarono per sventare la minaccia (impianto di localizzazione ASDIC, copertura aerea dei convogli, bombe di profondità più potenti e precise) finirono per ribaltare la situazione, perché a fronte di un marcato calo di navi affondate vi fu un consistente aumento dei sommergibili che non tornarono alle basi. Cosa era accaduto per determinare questa inversione di tendenza? A parte il miglioramento dei sistemi di difesa degli alleati, non si verificarono sostanziali migliorie dei mezzi subacquei tedeschi, divenuti facili prede nel caso di azioni in superficie e impossibilitati a effettuare lunghe percorrenze in profondità per la limitata autonomia delle batterie che dovevano fornire la propulsione elettrica; inoltre, proprio perché le possibilità di maggior successo con minori perdite erano quelle di restare immersi in agguato, si sarebbe dovuto stravolgere la tattica con cui tanti marinai e comandanti erano stati addestrati. Vi è da dire che Donitz, accortosi del problema, cercò di correre ai ripari, promuovendo la costruzione di quelli che si sarebbero poi definiti a ragione sottomarini, e non sommergibili, e in effetti ne furono realizzati non pochi, ma occorreva tuttavia riaddestrare gli equipaggi agli stessi, il che non poteva avvenire in tempi brevi, tanto che la fine del conflitto venne senza che si potessero impegnare in combattimento un numero adeguato di battelli.
L’autore riporta i fatti più importanti della guerra riguardanti sottomarini tedeschi. Illustra brevemente le diverse tipologie di u-boot utilizzati, i miglioramenti, le nuove tecnologie e contromisure adottate dai due fronti. Racconta quali erano le tattiche di battaglia dei sottomarini e le strategie di guerra. Il libro ha un taglio giornalistico-divulgativo e non politico (pur condannando già dalla prefazione la guerra e le idee folli naziste). Più appassionanti dal punto di vista narrativo sono un paio di capitoli dedicati a una battaglia nell’Atlantico che coinvolse convogli diretti ai porti inglesi e uno dedicato all’epopea di un u-boot nei Caraibi nella fase finale della guerra. È un libro interessante e scorrevole di cui consiglio la lettura.
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