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Il Maggiore Clem, prima di far sbranare Giulai dai suoi cani, lo interoga sulla sua vita, vuole conoscere a fondo ciò che sta per distruggere per goderne a pieno; l'operaio passato con i ribelli osserva il soldato che sta per uccidere, vede lo sguardo triste e le mani dure, probabilmente è un operaio anch'egli; non può ucciderlo, "ma imparerò", si consola. Il compagno Naviglio2, prima di immolarsi sotto forma di "ordigno con due pistole", salva il sè stesso bambino di 7 anni portandolo via, lontano da quella stanza un attimo prima della fine. Cos'è un uomo? Tutto questo, forse. La scrittura mi è risultata inizialmente ostica, ripetitiva, offuscata da una dimensione onirica angosciante; man mano il racconto mi ha guidato giù, nel buio, in fondo al cuore dei personaggi e dell'autore. Un'esperienza di vita, lo consiglio assolutamente.
Il romanzo fa parte dei “Cento libri che rendono più ricca la nostra vita” che ci propone Piero Dorfles. E si fa alcune domande: “Perché si deve uccidere, e se è giusto uccidere?”, “È giusto lasciare che vengano sacrificati dieci dei nostri per ogni nemico?”, “Possibile che ci siano degli uomini che possono far sbranare un uomo dai propri cani?”, “Il protagonista sa già che finirà per cadere nelle mani di Cane Nero, il comandante dei repubblichini”. E così accadde. Una lettura aspra ma che vale la pena di avere fatto
Ingredienti: un partigiano innamorato e impegnato, il mite inverno del ’44 come sfondo di una Milano in guerra, una sequenza di agguati partigiani e rappresaglie naziste, una missione quasi suicida come alternativa al male, alla fuga, alla sconfitta. Consigliato: a chi lotta perché gli uomini siano felici, a chi soltanto con l’impegno riesce a sentirsi vivo e uomo.
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