L'uomo che guardava passare i treni - Georges Simenon - copertina
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Letteratura: Belgio
L'uomo che guardava passare i treni
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Tascabile
3 giugno 1991
211 p., Brossura
9788845908361

Valutazioni e recensioni

  • Romana Giaffei

    La concezione pessimistica della vita, una costante nella produzione letteraria di Simenon, si evince, in questo romanzo del 1938, dalle vicende di un impiegato di Groninga nei Paesi Bassi, tal Kees Popinga, un piccolo borghese la cui vita familiare è oltremodo noiosa. Costui decide, sia a causa di un dissesto finanziario della ditta in cui lavora, sia perché spronato da nuove aspettative sentimentali, di fuggire via all'improvviso, illudendosi di lasciarsi alle spalle i propri fallimenti professionali ed umani. Si reca dapprima ad Amsterdam, poi, in seguito ad un "incidente", si trasferisce a Parigi dove però riesce solo a conoscere e frequentare malviventi: inizia così la sua parabola discendente, una strada verso il precipizio. Qui e in altri romanzi le atmosfere fosche, non solo dal punto di vista meteorologico ma soprattutto metaforico, come ad esempio quelle legate al mondo del crimine, stimolano la capacità narrativa di Simenon perché gli permettono di sondare l'identità labile di personaggi comuni e le profondità del loro inconscio. In particolare la storia verosimile di Kees Popinga deve la sua tragicità non tanto e non solo all'accanimento e alle variabili imponderabili del destino, quanto soprattutto al subdolo germe dell'autodistruzione, insito in una persona mediocre come tante, apparentemente normale, con una famiglia, uno stipendio, con un ruolo nella società, tuttavia fin troppo inconsapevole dei suoi limiti e della sua inettitudine: proprio in questo consiste la pericolosità del suo carattere. È evidente che non basta avere velleità eroiche per riscattarsi, ad esempio intraprendendo viaggi e tuffandosi a capofitto in nuove esperienze; secondo Simenon un debole non potrà mai vincere la sua partita, anzi è predisposto a scontare anche le colpe degli altri.

  • ROSSELLA PULEO

    Dannato George, mi ha totalmente soggiogato. Un racconto davvero accattivante. Chi è Popinga? E’ soltanto un uomo ordinario mortificato dalla vita che improvvisamente perde la ragione, o è un freddo calcolatore, uno scaltro assassino - e per questo meritevole di attenzione, di simpatia da parte dell'opinione pubblica -. E’ 'un paranoico, un infelice, un satiro'? Qual è la verità sul caso Kees Popinga? Prima della rivelazione ci si ritroverà a osservare la vita degli altri, i suoi simili ma dissimili, attraverso il suo sguardo. Lucido o folle? Impossibile non pensare a Pirandello e a Durrenmatt.

  • Renzo Montagnoli

    L’uomo che guardava passare i treni, scritto nel 1938, ha tutte le parvenze di un noir, anche se lo scopo di Simenon non era tanto quello di narrare una vicenda criminale, bensì di analizzare la psiche di un individuo, piccolo borghese, che a un certo punta della sua vita si ribella a un’esistenza calma e agiata, scoprendo in se stesso una personalità latente intollerante nei confronti di quel mondo in cui ha sempre vissuto. La sua presa di posizione, il cambiamento radicale che la caratterizza, non è un frutto di un calcolo maturato lungamente, ma è un’improvvisa scelta quasi inconsapevole. E così Kees Popinga, così si chiama il protagonista, abbandona per sempre quell’immagine di onesto, corretto, meticoloso impiegato e buon padre di famiglia per cercare di cancellare, in uno con il suo passato, anche quelle caratteristiche di appartenenza a un ceto borghese, fatte di consuetudini e apparenze anche stucchevoli. In questa ribellione, che lo porterà anche all’omicidio, c’è una lunga fuga dal mondo in cui è sempre stato, che finisce però con il diventare anche una fuga da se stesso, da quell’inconscia personalità per anni celata e repressa da una parvenza di perbenismo a cui, altrettanto inconsapevolmente, si era abbandonato. Entra talmente nel suo nuovo personaggio da trovare sempre nuove giustificazioni per il suo operato, per la sua furia criminale che tuttavia non traspare esteriormente se non nei momenti in cui i freni inibitori, totalmente rimossi, fanno sfociare il suo comportamento in una violenza accompagnata dalla cieca lucidità di un uomo che ricerca e trova considerazioni auto giustificatorie al punto di ritenersi un perseguitato dalla polizia. Il suo è il delirio di un folle che solo in ultimo, ormai braccato, lascia spazio a qualche momento di lucidità, che se non gli porta un senso di colpa, pur tuttavia riscopre sprazzi di quella coscienza borghese, che gli sembra così lontana e irraggiungibile, ma di cui ha una vaga nostalgia, un ricordo di un mondo in cui tutto quadrava per il meglio, almeno in apparenza, mentre ora la sua condizione è quella di una bestia in fuga e senza speranza. Popinga è tuttavia un fallito e anche la scorciatoia che cercherà di prendere per risolvere definitivamente il problema di una nuova esistenza, verso cui prima si sentiva fortemente attratto e che ora invece mostra tutti i suoi limiti, finirà miseramente e chiuderà così il suo ciclo vitale in una clinica psichiatrica, in cui, rassicurato dalle mura che impediscono un confronto con la realtà esterna, riuscirà a realizzare perfettamente se stesso, un mondo tutto suo, una specie di limbo in cui i medici non potranno capire nulla di lui, e, soprattutto, altrettanto lui di se stesso. In fin dei conti, come tanti personaggi di Simenon, il protagonista è un uomo all’apparenza normale, fino a quando è inserito nel tessuto sociale in cui ha sempre vissuto, ma poi scatta qualche cosa, a volte anche un’inezia, e l’uomo si trasforma; non c’è nulla di più complesso della psiche umana, tanto che a nessuno di noi è dato il privilegio di conoscerci fino in fondo e Simenon non era dissimile da noi, anzi in lui erano presenti mediocrità e genialità, quest’ultima riservata alla sua corposa produzione letteraria. Del Simenon privato forse è meglio non parlare, non ricordare l’egoismo che lo caratterizzava, la sua ambiguità durante l’occupazione nazista, il trattamento umiliante riservato alle sue amanti, una doppia personalità che peraltro non deve stupire, come se in noi esistessero due nature, ci fossero due io. E Kees Popinga è il simbolo di questo doppio che poi Simenon riuscirà a delineare ancor più mirabilmente in un altro romanzo, I fantasmi del cappellaio. Anche il titolo, del resto, ci offre nella sua sinteticità il vagheggiamento onirico del protagonista che cerca di immaginare come siano i passeggeri, figure indistinte dietro i finestrini, inconsapevoli attori della vita, e quelle carrozze che corrono sulle rotaie possono benissimo rappresentare per noi il confuso e convulso percorso dell’esistenza, ma per Popinga sono solo un sogno, una fuga da quella realtà che d’improvviso non può più accettare. Mi sembra inutile dilungarmi ulteriormente, se non per un consiglio d’obbligo: leggetelo, non ve ne pentirete.

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