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Paese poeta è sempre un colpo al cuore. In questo suo ultimo lascito si ritrova tutto il suo dolore, la sua passione e la sua genialità. Dalle poesie in inglese passando alla poesia che dà il titolo all’opera, non ci si può non innamorare di questo scrittore, troppo sfortunato in amore. Il mondo non era all’altezza di Cesare Pavese, questo si capisce leggendo queste poesie di una drammatica bellezza. Un piccolo libriccino che ci ricorda che “anche noi siamo fatti di terra e di sangue”. Consigliatissimo.
L’ultimo Pavese, il Pavese poeta. Nei versi che popolano Verrà la morte e avrà i tuoi occhi non si legge solo la fine di un amore, ma vi è soprattutto la fine di un uomo, la fine di una vita. Un Pavese angosciante e inquieto, ma già rassegnato, si accinge all’ultimo atto della sua esistenza, dando al mondo il suo ultimo addio. I versi che compongono la raccolta sono uno straordinario fiore all’occhiello della letteratura italiana del secondo Novecento.
Una raccolta di dieci poesie (otto in italiano, due in inglese) che potrebbe leggersi anche come una lunga lettera d'amore, ciascuna datata in calce tra il '50 e il '51, e insieme, una sorta di diario amoroso che, potremmo azzardare, ha per interlocutore ora l'amore, ora, invece, la morte. Il verso ha il passo di un singhiozzo, il ritmo del singulto ai margini del pianto, come a voler dire: un'elegiaca commemorazione dello strazio che nasce dalla perdita (della donna), dal commiato (della terra natale). Le vigne piemontesi, quelle che già avevano popolato gli straordinari squarci lirici de "La casa in collina", trasudano ora di sanguigno dolore, che Pavese rinnova a inchiostro per dare voce al sentimento dell'abbandono e della sconfitta negli anni difficili del dopoguerra italiano.
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