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Anno edizione: 2019
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Difficile, capire da dove iniziare. Inizierò dal titolo che, per la prima volta da lettrice, trovo non azzeccato, ma di più; come se si fosse scritto da solo, come se fosse il risultato di un qualche calcolo matematico, un qualcosa di inevitabile e che non poteva essere diverso. Perché credo che ciò che ha permesso a questa storia di arrivarmi sin dentro alle ossa in un modo del tutto nuovo è stato il fatto che l’autore racconta di vite “che non sono la sua” e ciò senza l’intento di mostrarci in che modo queste l’hanno cambiato, ma ponendosi a margine, lasciando qualche volta una sua opinione, ma senza mai arrivando ad oscurare il resto, o a cambiarne l'interpretazione, con una soggettività che, quando si tratta di raccontare del dolore in particolare, un po' "toglie alla realtà"; in pratica “ascoltando” e “lasciandoci ascoltare” e non “inquinando” - anche se è un termine bruttissimo - la storia e rischiando così di togliere il carattere della immediatezza. Leggendo, quindi, se non si hanno avuto esperienze combacianti perché son certa che, in tal caso, si abbia un’altra esperienza di lettura, si ha un po’ l’impressione di essere al posto dell’autore o accanto a lui, con un taccuino in mano, ad ascoltare: e così tu finisci per provare tantissime emozioni - sento un vuoto, adesso che scrivo, e ho appena finito il libro -, ma per quegli spigoli della vita che non hai provato in prima persona, puoi dire, come ad un amico, “so che non posso capire”, anche se questo non rende meno sincera la tua partecipazione al suo dolore. Ed ecco che c’è la magia della verità, come una luce che rischiara ogni cosa e che è ben diversa dal raccontare il dolore proprio, direi quasi “indugiando troppo in esso o non facendolo affatto”, anche dal punto di vista di esercizio di stile/ lessicale. Ed ecco che piangi, leggendo. Credo che questo si rispecchi anche nello stile dell’autore che a me è sembrato sia equilibrato che profondo, ma di una profondità che non è data da un esercizio di stile, appunto, che scava, scava fino a farti provare le cose - e tu annaspi, magari -, ma dalla limpida verità che raffigura, dal portare alla luce la vita come “è stata” - come la praticità davanti al lutto e, nello stesso tempo, la praticità davanti alla vita “dopo” - e dunque la vita come è, nella sua fragilità e, alcune volte, “assurdità” agli occhi degli altri. Non so se questo sia lo stile dell’autore, perché è il primo suo libro che leggo, ma l’ho amato. Ho iniziato il libro e mi è piaciuto sin da subito; ho avuto i brividi leggendo dello Sri Lanka, gli stessi che si hanno quando davanti al telegiornale si apprendono le notizie di eventi drammatici di larga scala, le stesse sensazioni. Poi è stato, avrei detto allora, come passare a un altro libro (il che ha fatto sì che mi prendessi una pausa), ma non per lo stile, per la storia trattata: si passa da una tragedia collettiva a una personale e a mano, a mano, si realizza un climax perché la patina del “non potrebbe accadermi” si assottiglia sempre di più, pur non esaurendosi mai per la tipica inconsapevolezza umana che alziamo come muro per proteggerci. Collegavo le due vicende solo attraverso il tema del “dolore”, ma in realtà il filo rosso che rende più che mai unito il libro è, proprio, quella patina che definirei non come il “dolore”, ma la partecipazione a un dolore che non ci investe direttamente. Trovo di sollievo chi è capace di dire “non posso capire”, chi è capace di ammetterlo e esternarlo, anche perché penso che una delle porte per la vera empatia sia proprio questa, sedersi e fidarsi di ciò che ci viene raccontato, senza avere la presunzione di pensare che “no, non è così” e così arrivare a comprenderlo, e non solo capirlo, meglio. E l’empatia è, secondo me, imprescindibile da un certo tipo di lettura, soprattutto per farla davvero tua. La storia di Juliette, in particolare, mi ha così travolta o forse sarebbe più corretto dire che mi ha travolta la sua vita attraverso le vite delle persone che ha avuto accanto e l’hanno avuta accanto - di un altro libro, di tutt'altro genere, è la frase che dice che le vite delle persone si misurano anche nelle vite di chi ha incontrato: nulla di più vero. Sicuramente, sulla mia lettura hanno influito alcune vicende personali e, da altri punti di vista, il fatto che studio giurisprudenza, ma sarebbe andata così anche diversamente perché è inevitabile: se ti interessa il punto di vista giuridico, sicuramente sei stimolato maggiormente in alcune parti e non puoi che essere affascinato e, per i temi trattati, puoi ritrovarti o meno, ma il punto principale è che questa cosa sbiadisce, va in secondo piano, tu “partecipi” senza essere quella persona e, nello stesso tempo, senza lasciarti sprofondare in te stessa e così arrivando a una comprensione più vicina di chi cerca di “mettere il suo” per capire meglio, anche quando non può. Non sono vite inventate, ma reali e mi viene molto difficile parlarne e dire, ad esempio, che vorrei conoscere Étienne, fargli tantissime domande, o chiedere a Patrice come stia. Mi sembra di non essere rispettosa. Dirò, però, che ho visto descritte magistralmente, o almeno così a me sono arrivate, due forme di amore bellissime e rare: quella con Patrice, di complementarietà, di chi si trova, di chi è destinato a trovarsi. E quella con Étienne, a mio parere ancora più rara, di affinità, di intesa intellettuale e di esperienza di vita, profonda e nello stesso tempo che non necessita di una quotidianità, che ti permette di essere te stesso in un modo libero che può essere diverso da quello che si scopre in un rapporto di amore come il primo. Si assiste a un racconto, anche perché si passa dalla dolcezza all’ilarità nel raccontare alcuni episodi di carattere giuridico proprio come se si stesse parlando con qualcuno e il suo registro cambiasse a seconda dell’argomento. Penso che traspaia anche il rispetto che l’autore prova verso la vita di chi racconta. Il libro è un cerchio che si chiude: chiudi tanti piccoli cerchi mentre lo leggi - che non sono altro che minuscole finestre nella vita delle persone - e poi ritorni alle “vite di partenza”, in particolare a quella dell'autore, proprio perché, direi, l’autore sa che le vite che ha raccontato non sono la sua e quindi sa che scorreranno, indipendentemente da lui. Si potrebbero parlare della riflessione sul tema della malattia e di altri argomenti, ma quello è un “più” molto soggettivo; ne esco arricchita da questo incontro, non so ancora in che modo, ma è così che sento; ne esco arricchita dalla conoscenza di queste persone, anche se limitata al mezzo di un libro, ma sappiamo tutti quanto questo insieme di carta e inchiostro possa essere potente. (Grazie a chiunque sia arrivato sin qui!)
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