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25 febbraio degli anni Settanta. Tra i viali della cintura torinese tossicchia una Volkswagen color crema con a bordo un ambulante di matite Jucca, mentre una Porsche guidata da un piccolo ragioniere siciliano accompagna al primo motel la figlia di una influente famiglia piemontese. A Torino, intanto, la premiata coppia di esperti Monguzzi - Rossignolo sgambetta verso la propria casa editrice, mentre l'ingegnere Vicini della FIAT, degradato e lascivo masochista, si avvia in fabbrica. Dalle colline, i fratelli Bortolon, triveneti taurini trapiantati nell'ovest di Cavour, mettono in moto il furgoncino. La professoressa Caldani - insegnante d'inglese in pensione - fa il caffè e il sagrestano Priotti esce di casa. Dalla chiesa di Santa Liberata una illustre signora della Torino bene scantona furibonda l'angolo, cacciata da don Alfonso Pezza, prete dalla bestemmia facile e sospettato di eresia gnostica. Si ritroveranno tutti lì, tra le rugginose navate di quella chiesa di mezza tacca: borghesi e miserabili, intellettuali e intellettualoidi, mafiosi e gente perbene, gnostici e cattolici, ladri e guardie, la FIAT e il Vaticano. Tutti riuniti ad assistere alla morte del barbuto parroco, saltato per aria a metà di una recita da tregenda. Immerso giorno e notte in una Torino di luci e carne, toccherà al commissario Santamaria risolvere uno dei gialli più complicati - e più umani - della storia della letteratura italiana.
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