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Anno edizione: 2016
Anno edizione: 1994
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Bah!, tornare a quegli anni non è stato piacevole, o perlomeno non in quei frangenti. Erano i miei 'salad days' quelli, e non avevo piena consapevolezza di cosa stava succedendo a sud delle Alpi. Brutto affare. Pessimo affare, che getta un'ombra lugubre e malefica su tutta una classe politica e sociale. Sciascia scrive da dio, e questo si sa, ma tanta fatica; fatica e amarezza. «È come se un moribondo si alzasse dal letto, balzasse ad attaccarsi al lampadario come Tarzan alle liane, si lanciasse alla finestra saltando, sano e guizzante, sulla strada. Lo Stato Italiano è resuscitato. Lo Stato italiano è vivo, forte, sicuro e duro. Da un secolo, da più che un secolo, convive con la mafia siciliana, con la camorra napoletana, col banditismo sardo. Da trent'anni anni coltiva la corruzione e l'incompetenza, disperde il denaro pubblico in fiumi e in rivoli di impunite malversazioni e frodi. Da dieci tranquillamente accetta quella che De Gaulle chiamò - al momento di farla finire - “la ricreazione”: scuole occupate e devastate, violenza dei giovani tra loro e verso gli insegnanti. Ma ora, di fronte a Moro prigioniero delle Brigate Rosse lo Stato italiano si leva forte e solenne. Chi osa dubitare della sua forza, della sua solennità? Nessuno deve aver dubbio: e tanto meno Moro, nella “prigione del popolo.”»
Ingredienti: le ultime lettere di un politico prigioniero dell’incomunicabilità, un’esegesi dei testi e delle parole alla ricerca del detto e del non detto, l’abbandono di un sequestrato, sacrificato alla ragione di stato, la lucidità spacciata per debolezza di un uomo che intuisce il proprio destino. Consigliato: a chi vuole scoprire la peggior prova di forza di uno stato debole, a chi vuole coprire con un inchiostro nitido una pagina oscura di storia italiana.
Nel pieno dei 55 giorni del quarantennale del delitto Moro, quando sembra che i mezzi di comunicazione abbiano adempiuto al rito della doverosa quanto frettolosa rievocazione, può essere molto istruttivo leggere o rileggere quanto Sciascia scrisse poco dopo i fatti, tentandone una prima analisi critica, avvalendosi anche della sua partecipazione alla Commissione parlamentare d'inchiesta. E allora è prezioso questo acuto libretto che non solo rievoca i fatti, ma li analizza sottilmente, tentando di tarne una lezione e di giungere ad una prima verità. E attenzione che tutti i testi vanno letti, compresa quindi la cronologia dei 55 giorni (laddove si scopre che mentre la prigionia di Moro catturava l'occhio di tutti, ben 12 persone note o meno note venivano colpite e 2 di esse assassinate!) e compresa l'acuta "relazione di minoranza del deputato LS" che non risparmia critiche al metodo caotico e superficiale con cui vennero condotte le indagini e sulla prevalenza delle operazioni a effetto, "da parata", su quella che avrebbero potuto portare alla liberazione di Moro, compresa una precisa analisi e decrittazione degli eventuali (probabili, secondo lo scrittore) messaggi inseriti nel testo dal prigioniero. E invece si preferì, inutilmente, analizzare il linguaggio, pietrificato e fasullo, dei messaggi delle BR. L'argomento centrale di Sciascia è che, mentre Moro si batteva nelle sue lettere per lo scambio di prigionieri, attribuendo la linea della fermezza scelta dal governo soprattutto alla volontà del PCI, proprio queste sue argomentazioni finirono per accreditare la tesi che la sua volontà fosse coartata dai terroristi, mentre Sciascia dimostra che era coerente col pensiero dell'uomo politico sulla debolezza dello Stato e sulla sua costante tendenza a transigere con terroristi d'altro genere (tipo i palestinesi). Questa negazione della volontà di Moro, fini per portare allo strappo finale fra istituzioni e famiglia, ben visibile nei funerali separati.
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