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Gli anelli di Saturno - Winfried G. Sebald - copertina
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Gli anelli di Saturno
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Gli anelli di Saturno - Winfried G. Sebald - copertina
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Descrizione


"Pellegrinaggio in Inghilterra" recita il sottotitolo. E di un viaggio solitario si tratta, d'estate e per lo più a piedi, nel Suffolk, dove Sebald visse sino all'ultimo: in uno spazio delimitato da mare, colline e qualche città costiera, attraverso grandi proprietà terriere in decadenza, ai margini dei campi di volo dai quali si alzavano i caccia britannici per bombardare la Germania. Viandante saturnino ("Nato sotto il segno del freddo pianeta Saturno" dice di sé nel poemetto Secondo natura), Sebald ci racconta - lungo dieci stazioni di un itinerario che è anche una via di fuga - gli incontri con interlocutori bizzarri, amici, oggetti che evocano le fasi di quella "storia naturale della distruzione" che scandisce il cammino umano e il susseguirsi degli eventi naturali. E ci racconta storie di altri vagabondaggi ed emigrazioni, di cui la sua vicenda personale è estrema eco: quelli di Michael Hamburger, poeta e traduttore di Hòlderlin, profugo anche lui dalla Germania; di Joseph Conrad, che nel Congo conosce la malinconia dell'emigrato e l'orrore per le tragedie del paese di tenebra; di Chateaubriand, esule in Inghilterra; di Edward Fitz-Gerald, eccentrico interprete della lirica persiana, che a bordo della sua piccola imbarcazione trascorre ore in coperta, con in dosso marsina e cilindro e un lungo, svolazzante boa di piume bianche intorno al collo. Pellegrinaggio e insieme labirinto, nella miglior tradizione sebaldiana.
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Dettagli

2010
10 novembre 2010
307 p., ill. , Brossura
9788845925092

Valutazioni e recensioni

Recensioni: 4/5

Radicatosi nel Suffolk inglese (East Anglia), pur non avendo smesso di scrivere in tedesco, W.G. Sebald vedeva la madrepatria dalla prospettiva dell’esule: – un romantico walseriano Wanderer alle prese con le ‘sortes germanicae’, ma armato solo del desiderio di camminare e camminare e ancora camminare, lungo un angolo di terra da scoprire in un tempo malinconico, se non perpetuamente tragico; in una “notte del tempo” per la quale l’unico senso della vita era «vivere», e «camminare» il più sublime modo di essere vivi. Mentre insensata, al di sopra del viandante e del suo paesaggio, era la forestiera morte. Siamo in un periodo successivo alla grande guerra, ma sempre avviluppato nell’ombra triste del torpore bellico. E Sebald con il piacere di «guardare» si muove per strade e crocicchi, per la campagna rigogliosa. Ha il puro sguardo che rinviene indizi, ponti sottili verso il passato, amplificazioni di piccole tracce scoperte attraverso il paesaggio, isolate in una rete di impressioni: lo spesso e prolungato tempo dietro alle immagini dei luoghi, sublimato oltre la soglia della riflessione. Ogni suo passo si compie nel modo dell’inquietudine e della pazienza. La sebaldiana ‘metafora del trauma’, paragonabile alla ‘metafora della malattia’ in Petrarca (e in Kafka!), viene a costituire il nòcciolo, cioè l’elemento centrale e più profondo della scrittura. E dalla stessa arriva quel tono etico di malinconica pazienza, di attesa di giungere ad un traguardo, proprio del pellegrino, ma anche e di nuovo del Petrarca, se pensiamo alla sua lenta ascesa al Monte Ventoso. O, in seconda battuta, al viaggio in Terra Santa dal poeta immaginato, ripercorrendo le orme di Omero, Virgilio, Orazio, Lucano…, nell’erudito “Itinerarium”. Un dialogo serrato tra la personalità dello scrittore e i luoghi, la loro progressiva distruzione, ultimo riverbero di una guerra che prosegue con altre forme: meno evidenti, non meno atroci.

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