Dedalus. Un ritratto dell’artista da giovane - James Joyce - copertina
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Letteratura: Irlanda
Dedalus. Un ritratto dell’artista da giovane
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Descrizione


Pubblicato a puntate dal febbraio del 1914 e uscito in volume nel dicembre del 1916, Dedalus. Un ritratto dell’artista da giovane è, insieme all’Ulisse che lo seguirà a distanza di qualche anno, un vero e proprio ritratto dell’autore irlandese. Come scrive Enrico Terrinoni nella prefazione, il protagonista, Stephen Dedalus, è infatti il «principale avatar letterario di Joyce». Lo scrittore aveva già usato questo nome per firmare i suoi racconti, ma «l’appellativo dal sapore mitologico non era per lui solo un nom de plume, era la sua stessa identità». Proprio come il celebre architetto di Cnosso, Joyce/Dedalus tenta di fuggire da un labirinto rappresentato per lui dalla famiglia, dall’infanzia, dalla sua patria – l’Irlanda –, dalla religione e dalla Chiesa: un labirinto che imprigiona il suo animo di artista, che in questo romanzo di formazione si risveglia in tutta la sua sensibilità e irruenza. Merita però qualche parola anche l’autore della traduzione che qui riproponiamo: Cesare Pavese, legato allo scrittore irlandese – come scrive sempre Terrinoni – da una «strana sincronicità» e da «un beffardo attraversarsi di destini». Una traduzione, quella del Dedalus, che contribuì alla sua maturazione letteraria, tanto da poter essere considerata «una parte integrante del canone di Pavese stesso». Prefazione di Enrico Terrinoni.

Dettagli

28 gennaio 2021
320 p., Brossura
9788833535227

Valutazioni e recensioni

  • Ivan Proietti

    A metà strada tra Dubliners e l’Ulisse, DEDALUS rappresenta l’ascesa letteraria di uno dei più importanti ed innovativi scrittori del Novecento. In questo libro è riportata, con immensa eleganza e raffinatezza poetica, l’infanzia e la giovinezza di Stephen Dedalus (alter ego di Joyce), un giovane irlandese con aspirazioni letterarie e con una voglia irrefrenabile di fuggire dalla sua patria verso territori più aperti, artisticamente (e non).

  • Malgrado si tratti di una delle opere più significative e innovative del XX secolo, la descrizione minuziosa della vita quotidiana del protagonista rende il romanzo lento e pesante, tanto da far risultare sgradevole il personaggio principale. Il romanzo, infatti, segue lo sviluppo intellettuale, morale e sessuale di Stephen Dedalus, dall'infanzia all'età adulta, fino al risveglio dell'artista che c'è in lui. La personalità di Stephen è plasmata dalla storia e dalla politica dell'Irlanda della fine del XIX secolo, dal Cattolicesimo, e dalla cultura, dalla lingua e dall'arte con cui il protagonista viene a contatto. La vita di Stephen non è altro che lo specchio di quella dello stesso Joyce ed è per questo che risulta sorprendentemente realistica ma, allo stesso tempo, la ricchezza di particolari rende il romanzo lento e, nel complesso, noioso.

  • Enrico Caramuscio

    Sarebbe bello poter scrivere una recensione positiva su questo libro. Sarebbe bello e doveroso, perché è un classico e perché è frutto di una penna autorevole come quella di James Joyce. Ma quando una lettura in cui si ripongono grandi aspettative ci lascia addosso solo un senso di tedio e pesantezza non è facile scriverne bene anche se si tratta di un capolavoro universalmente riconosciuto. Certo è fuori discussione la bellezza di una prosa curata ed elegante che denota il grande talento letterario dell'autore; solo che, messa al servizio di una trama spenta e confusionaria perde di consistenza e di fascino. Così come non si può negare l'importanza dei temi trattati, a cominciare dall'indipendentismo irlandese e proseguendo con l'ingerenza della religione nella vita pubblica. Ma in particolare dovrebbe essere interessante l'analisi dei tormenti interiori di un giovane studente alle prese con la decadenza di prestigio della sua famiglia, con screzi e incomprensioni nel rapporto con compagni ed insegnanti, con tormenti amorosi, con formicolanti impulsi fisici in contrasto con la bigotta e puritana morale che gli viene impartita. Ma riesce difficile farsi coinvolgere da un personaggio privo di carisma e della capacità di creare empatia, che per quasi tutto il libro si dimostra passivamente succube dei precetti religiosi dei gesuiti e che anche quando decide di ribellarsi lo fa con apatia e indolenza. Anche il metodo usato dall'autore nel presentare la psicologia di Dedalus non appare molto efficace, essendo per lo più affidato a vaghi ricordi d'infanzia e a dialoghi che cominciano e finiscono in maniera piuttosto occasionale, non permettendo al lettore di avere una chiara analisi introspettiva del protagonista ne di seguire un vero e proprio filo logico. Pesante il lungo capitolo nel quale vengono esposte le punizioni e i tormenti a cui sono destinati i peccatori che andranno all'inferno, sconclusionato il diario finale scritto in prima persona dal protagonista. Probabilmente ci sono dei libri che sono belli ovunque e in tutte le lingue, altri come questo che invece vanno letti necessariamente in lingua originale perché forse la traduzione, l'adattamento ad un'altra lingua e ad un’altra grammatica, il differente contesto culturale in cui vive il lettore straniero non riescono a dare lo stesso risultato dell'originale. Mettiamola così, altrimenti riesce difficile spiegarsi come quest'opera possa meritare la fama che ha.

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