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Anno edizione: 1998
Anno edizione: 2014
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Il romanzo è ambientato tra gli emigrati russi in una vivace Berlino che allora si presentava come un centro culturale di attrazione per l’intera intellettualità europea. Nella prefazione, Nabokov scrive provocatoriamente: “Sono sempre stato indifferente ai problemi sociali, mi sono semplicemente servito del materiale che avevo a portata di mano, così come un commensale spensierato può disegnare a matita un angolo di strada sulla tovaglia o disporre una mollica e due olive in posizione diagrammatica tra menu e saliera”. I commentatori più impegnati hanno rimproverato allo scrittore “questa indifferenza per la vita di gruppo e per l’irrompere della storia”, accusando i suoi libri “di una totale mancanza di rilievo sociale”. In realtà, anche in questo “ghirigoro di racconto”, come lo definisce l’autore, l’attenzione alla società e ai suoi ruoli codificati esiste, eccome! sebbene l’ottica privilegiata sia quella più strettamente psicologica e della critica di costume, spesso polemica e beffarda. La vicenda si dipana con tranquilla agilità (tra rivelazioni a sorpresa, scambi di persona, riconoscimenti a incastro) fino all’epilogo, imprevedibile e spiazzante, che dovrebbe sperabilmente svelare la reale natura del protagonista. Ma “l’inferno di specchi” in cui si riflettono i vari personaggi in realtà non è che la moltiplicazione del medesimo tipo umano, una proiezione dello stesso occhio narrativo, una fantasia post mortem che già negli anni ’30 presupponeva l’esistenza di avatar ingannevoli. Da un tempo trascorso e perduto lo sguardo contempla un presente fasullo, che si propaga per inerzia al di là dell’esistenza concreta, addirittura pevalicando la morte individuale, su un palcoscenico in cui si muovono inconsistenti e fragili comparse, “sfarfallio su uno schermo”: l’unica felicità possibile “sta nell’osservare, spiare, sorvegliare, esaminare sé stessi e gli altri, nel non essere che un grande occhio fisso, un po’ vitreo, leggermente iniettato di sangue”.
Questo “racconto lungo” è il quarto romanzo di Nabokov scritto in russo, e segue il bellissimo “La difesa di Luzin”. Per la prima volta qui l’autore utilizza il narratore in prima persona che, però, non mantiene sempre per tutto il racconto ma la giostra con molta abilità con la terza; l’argomento scelto poi è veramente geniale. Come in un gioco di specchi il narratore/protagonista, di cui all’inizio non si conosce il nome, assume il ruolo di un “occhio”, cioè cerca di costruire l’immagine della sua personalità attraverso le impressioni e i giudizi che gli altri hanno su di lui. Attraverso una girandola di situazioni, avvenimenti, personaggi nuovi la vicenda procede con una certa vivacità; ma è soprattutto grazie all’espediente narrativo adottato dello “specchio”, che si mantiene quella giusta distanza tra l’io narrante e il protagonista fino allo svelamento conclusivo. E’ un gioco sapiente che tiene avvinto il lettore fino alla fine, anzi lo lascia un po’ in sospeso sulla soluzione finale!
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