Ho letto questo libro in lingua originale per non perdermi nulla delle atmosfere tracciate e dei personaggi descritti. Quel che più mi piace di "Opinioni di un clown" è che a raccontare una società borghese e bigotta come quella cattolica tedesca del dopoguerra (con i suoi circoli, le sue famiglie, le sue regole e i suoi giudizi) sia la figura opposta, il Clown Narrante, che tuttavia è l'antieroe per eccellenza (Hans non vuole rinunciare alla sua vita di artista, si rifiuta di fare qualsiasi altro lavoro, tira avanti grazie alla carità limitata della famiglia a qualche amico generoso, si affida a espedienti). La narrazione prende il corso dalla storia di un giovane uomo, Hans (il clown, il protagonista, il narratore), che perde la sua donna, Marie, animata dall'amore per lui quanto da quello per il cattolicesimo. La storia si svolge in quattro ore in una camera d'albergo a Bonn (con continui flashback sul passato di Hans e sue digressioni mentali sui fatti, veri o immaginati, e sulle relazioni con la propria famiglia e con la società cattolica). In queste quattro ore, Hans parla con diverse persone al telefono e riceve la visita del padre, ma qualsiasi interazione non lo scosta in alcun modo dal suo fermo proposito: quello di riavere la sua donna e i soldi che gli servono , appellandosi a chiunque, ma senza troppo sforzo... così come, con grande coinvolgimento, ma con altrettanta passività ha vissuto diversi altri momenti della sua vita (la morte di Henriette, l'aborto di Marie). Un romanzo psicologico di alto valore, il ritratto di una società in un determinato momento storico e un utile esercizio di pensiero. Allo stesso tempo, bisogna fare i conti con la staticità che permea la narrazione e con uno stile narrativo volutamente (e anche adeguatamente) ripetitivo.
