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Libro stupendo, linguaggio scorrevole che si è fatto leggere in pochissimo tempo. Riprende numerose "bustine," che devo confessare non sapevo scrivesse per l'Espresso, ma che ora mi sono procurato insieme agli altri volumi scritti dal professore che contengono le sue riflessioni sulla nostra vita quotidiana. E' senza dubbio un libro che arricchisce la nostra cultura, così come quelli in cui usa un linguaggio più erudito ma di cui non si può fare a meno di leggere. Ne consiglio vivamente la lettura.
Libro stupendo, linguaggio scorrevole che si è fatto leggere in pochissimo tempo. Riprende numerose "bustine," che devo confessare non sapevo scrivesse per l'Espresso, ma che ora mi sono procurato insieme agli altri volumi scritti dal professore che contengono le sue riflessioni sulla nostra vita quotidiana. E' senza dubbio un libro che arricchisce la nostra cultura, così come quelli in cui usa un linguaggio più erudito ma di cui non si può fare a meno di leggere. Ne consiglio vivamente la lettura
L' "Instant book" che la neonata editrice " La nave di Teseo" ha fatto uscire come raccolta delle "Bustine di Minerva" pubblicate periodicamente da un settimanale di informazione poco tempo dopo la dipartita del mai troppo rimpianto Autore (che fu tra i propugnatori della creazione della nuova società), si presta ad alcune riflessioni su questo grande protagonista del nostro tempo. A mio avviso, la sua produzione letteraria è stata marcata da una certa discontinuità. Dopo l' esordio con "Diario minimo" ed un capolavoro assoluto come "Il nome della rosa" si sono alternati libri più o meno di piacevole o agevole lettura ("Il pendolo di Foucault","Baudolino","La misteriosa fiamma della regina Loana"), con altri - sempre a mio parere - piuttosto criticabili come "Il cimitero di Praga" ed altri che sono dei piccoli capolavori di umorismo come "Numero zero". Di Pape Satàn Aleppe vorrei citare tre brevi periodi: "Lo sviluppo massimo raggiunto dall'umanità (e in questo campo l'accelerazione supera quella di ogni altra impresa) è l'allungamento dell'età media." (dalla bustina "Vita media"). "Il mondo è diventato una faccenda troppo complicata per lasciarlo governare a chi lo governava prima." (dalla bustina "Spari con ricevuta di ritorno"). "Ogni testo chiede di essere letto idealmente due volte, una per sapere che cosa dice, l'altra per apprezzare come lo dice."(dalla bustina "La missione del giallo"). Considerazioni e consigli che fanno desiderare di leggere il libro.
Recensioni
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"In un’epoca di pazzia credersi immuni alla pazzia è una forma di pazzia. Quindi non prendete per oro colato che le cose che avete appena letto".
Pape Satàn Aleppe. Titolo geniale, un epitaffio sornione, formidabile provocazione per l’opera postuma di uno dei più importanti intellettuali italiani del ventesimo secolo. Non è solo una scelta dotta e citazionista, ma è soprattutto un breve manifesto della vita di Eco, sintetizzata in tre enigmatici vocaboli, capaci di evocare il Medioevo, le cui maestose vestigia poteva osservare dalla finestra di casa sua affacciata sul Castello Sforzesco, e il gusto dei rapporti simbolici tra le parole, lo studio dei segni, cioè la linfa vitale della disciplina che più di tutti ha saputo arricchire: la semiotica.
E cosa significa Pape Satàn Aleppe? Apparentemente nulla. Compare nel canto VII dell’Inferno ed è un’invocazione a mo’ di motto, bofonchiata minacciosamente da Pluto come se fosse un veggente cieco impazzito, una frase che solo Virgilio pare comprendere e di cui da secoli gli studiosi di Dante provano a decifrarne invano il (non)senso. Ma come si ricollega a questa opera? Attraverso una relazione simbolica meravigliosa. La proposizione è tanto oscura e indecifrabile nel testo dantesco, quanto lo sono i nostri tempi a detta degli sventurati che provano a interpretarli attraverso astruse categorie, come per esempio Il postmoderno - una campana epistemologica che sembra fagocitare tutto e nulla - un calderone che racchiude arte, letteratura, scienze sociali, cinema, tv e qualunque altra manifestazione dello scibile umano che abbia l’ardire di lasciarsi scrutare dagli occhi del confuso post-uomo. E il postmodernismo va a braccetto con la società liquida - altra immancabile categoria interpretativa dell’oggi - coniata da Bauman a descrivere le dinamiche sociali contemporanee, corrotte dall’effimero, dal non senso, dall’ipertiroidea schizofrenia verso l’inafferrabile e dal crollo delle grande narrazioni, la fine delle ideologie e della storia e la grottesca parata apocalittica che ne consegue, in attesa di chissà quale parusia a salvarci tutti quanti. Eco da magnifico interprete della contemporaneità ben conosceva la portata di questi cambiamenti epocali - ma aveva il raro dono di demistificarli e renderli pop - catturandone la sconnessa comicità.
In questa prima uscita della Nave di Teseo - casa editrice fondata da Elisabetta Sgarbi ed Eco stesso - pensata per accogliere dei transfughi della Bompiani e il cui nome è un altro rimando paradossale che ben cattura lo spirito del semiologo alessandrino, viene raccolta una selezione degli ultimi quindici anni di Bustine di Minerva, pubblicate sull’Espresso a cadenza bisettimanale. Pagine in cui l’intellettuale osservava disincantato il procedere inesorabile verso l’idolatria del pensiero unico - di cui gli italiani sono ferventi discepoli - le manie dell’uomo tecnologico e offrendoci talvolta alcune piacevoli aperture a quello che fu un suo noto divertissement: le fascinazioni complottiste - in cui persino compare Alan Kadmon - accusato di essere semplicemente derivativo e poco creativo in confronto a chi in passato era arrivato a negare l’esistenza di Napoleone.
Il volume suddivide gli articoli per aree tematiche e in ordine cronologico, una scelta brillante soprattutto per quanto riguarda la porzione del testo dedicata alle ossessioni sulla visibilità e le follie dei mass media - il web in primis - con divertenti incursioni sui fastidi procuratigli da Twitter e Facebook, una carrellata di immagini impietose che raffigurano l’abbrutimento culturale e morale dell’uomo contemporaneo de-pensante - nella sua compulsiva ossessione di avere sempre qualcosa di importante da riferire - un’urgenza quasi fisiologica che lo porta inevitabilmente all’autodenuncia inconsapevole della propria stupidità.
Imperdibile a mio avviso la prima bustina in cui si Eco si scaglia contro i preti del laicismo, i sacerdoti della tecnocrazia, fondamentalisti e miopi nel predicare un’obsoleta identificazione dell’Assoluto nel progresso, e li paragona ai papaboys, i coloriti esponenti del mondo giovanile cattolico, aperti, ai tempi di Woytyla, alle unioni prematrimoniali e al ripensamento dei dogmi più inattuali, più allergici quindi ai massimi sistemi rispetto a chi avrebbe il dovrebbe morale di scardinarli.
Eco ci lascia con un’opera eccezionale, ovviamente non paragonabile ai suoi capolavori di narrativa, ma che tuttavia, grazie alla natura antologica, offre una scansione lucida e irripetibile della liquefazione morale degli ultimi folli quindici anni di un’Italia che già rimpiange uno dei suoi più grandi cantori.
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