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«Salvare un essere umano è salvare il mondo.» Il tatuatore di Auschwitz racconta la vera storia di Lale e Gita, che lo stesso Lale ha raccontato alla sceneggiatrice australiana Heather Morris. Inizialmente, infatti, doveva essere una sceneggiatura per un film, poi diventata un romanzo, e forse è per questo che la prosa mi è sembrata scarna, ridotta all’osso. La narrazione è fredda, quasi impersonale, mentre i dialoghi risultano essere i protagonisti. Eppure, nonostante sia raccontato con distacco, questa storia d’amore è riuscita a entrarmi sottopelle, a emozionarmi, commuovermi e scuotermi. Lale è un uomo carismatico, determinato e furbo, ma ha anche un cuore immenso, gentile e altruista. Condivide tutto quello che può, aiuta sempre chi ne ha bisogno. Tra i romanzi ambientati nella Seconda Guerra Mondiale, forse non è il migliore che io abbia letto, ma la storia che racconta va ascoltata, condivisa, diffusa. È un racconto potente, di enorme forza emotiva e storica, un monito a ricordargli gli orrori che ci hanno preceduti e che dobbiamo evitare di ripetere, ma anche un inno alla speranza e all’amore che può nascere anche negli angoli più bui della storia dell’umanità.
Ho voluta dare il massimo dei voti a questo romanzo perché la scrittrice è riuscita ad emozionarmi, a coinvolgermi...ha narrato su fatti realmente accaduti un periodo molto difficile per il mondo intero, e concentrandosi su Lale e Gita ci ha dato dimostrazione di quanto l' amore per una persona può essere più forte di tutto!...ti fa capire che ogni decisione che prendi può essere quella che cambierà la tua vita...ma aggrapparsi alla speranza aiuta a guardare avanti e a credere che ci sia...anche un domani.
Libro molto bello ed emozionante. Scritto veramente bene e letto in pochissimo tempo perché la storia raccontata è una storia vera e mi ha coinvolto parecchio. Lo consiglio vivamente.
Recensioni
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E’ difficile immaginare come, proprio tra le pagine più orrende che la storia ci ha lasciato in eredità, possa trovare spazio una traccia d’inchiostro che lascia segni di amore, speranza e felicità. Auschwitz, Birkenau. Là dove è stata cancellata la dignità dell’uomo fino a privarlo della propria identità, là dove la morte sembrava essere l’unico destino possibile per chiunque, non poteva esserci spazio che per la rassegnazione. Ma non per Lale, deportato “volontario” capace di sacrificare il proprio destino per salvare la propria famiglia. E paradossalmente capace di costruire il proprio futuro proprio nel luogo dove il futuro sembrava impossibile per chiunque.
Formalmente costretto a privare le persone della propria identità sostituendola con un impersonale numero da macello, Lale il “tatuatore” trova l’amore dove tutto intorno odora di sofferenza e morte. Il sentimento per Gita diventa la chiave di accesso alle più impossibili delle sensazioni: la speranza, la libertà. La visione della salvezza, di una vita insieme. La consapevolezza di potercela fare.
Passano le giornate, le stagioni, gli anni e gli sguardi, gli incontri e le promesse si alternano con il lavoro, l’umiliazione, la morte. Piccole e brevi emozioni, essenziali attimi di luce di una vita trascorsa al buio. Ma la forza di Lale e Gita sta proprio nel sapersi sussurrare parole di speranza dove intorno si combatte per un tozzo di pane e per esserci ancora il giorno successivo. L’incoscienza della giovinezza pronta a sfidare la malvagità del mondo. La forza dell’amore come unica arma per combattere. Inseguire un sogno impossibile per cancellare l’orrore che li circonda.
Un libro che colpisce dentro, Il tatuatore di Auschwitz, capace di danzare in punta di piedi sull’atrocità quotidiana e di far emergere sogni e speranze dove tutto sembra ridursi alla sola sopravvivenza. L’impressione è quella di una storia impossibile. Eppure è tutto vero.
Raramente i racconti dai Lager hanno dato l’opportunità di portare alla luce tratti anche solo vagamente positivi. Difficile provocare un sorriso, là dentro. Lo fece egregiamente Benigni in La vita è bella. Lo fa con altrettanta cura ed il necessario pudore Heather Morris. Perché saper accostare, con delicatezza, nella stessa pagina uno sguardo d’amore con il fumo proveniente dai forni crematori a far da sfondo, ha dell’incredibile.
Altro che kapò…chapeau!
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