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Ritmo incalzante, che rende la lettura del romanzo quasi inevitabile. Riguardo l'omicidio, vengono forniti continui dettagli, che da una parte sembrano creare una pista d'indagine sicura, ma che dall'altra distruggono le certezze precedenti riportando il mistero al punto di partenza. Tutta la storia rimane appesa ad un filo fino al penultino capitolo, nel quale vi si è introdotti con un mucchio di idee in testa, ma senza nessuna certezza; del resto nemmeno il commissario, nonostante la fermezza manifestata durante tutto il romanzo, ne ha, e spera che durante quella "seduta" la sua teoria venga confermata. De Vincenzi è un commissario che non porta avanti le sue indagini attraverso un metodo empirico, ma piuttosto facendo riferimento alla psiche delle persone che interroga, facendo attenzione ai minimi particolari delle loro espressioni e dando importanza all'intuito. Il colpevole del delitto, desunto dal commissario, non è stato individuato dallo stesso mediante indizi che convergevano inequivocabilmente verso quel soggeto, ma da intuizioni e sensazioni. Le sei donne del titolo, in verità sono sette, in quanto una di esse è stata individuata da De Vincenzi come subordinata ad un'altra, e quindi, ai fini dell'indagine, vengono considerate come un unica persona. La vicenda si svolge a Milano, a parte un breve viaggio fatto dal commissario a Genova per interrogare una donna, in un arco temporate che dura all'incirca nove giorni. In questo contesto si afferma una continua compenetrazione fra ambienti di lusso, come ad esempio le case dell'assassinato, e ambienti popolari, come le portinerie. Riguardo l'autore è evidente l'influenza di Frued, ma sono anche riscontrabili alcuni tratti facenti riferimento all'estetismo.
Un bel giallo scritto nel 1936 ma comunque attuale per linguaggio, idee, luoghi. Il linguaggio è scorrevole e io lo preferisco a molti 'giallisti' attuali...
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